Recensioni: Where The Sun Comes Down "Ten Years Like in a Magic Dream"
Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea
|
SWEDEN ROCK FESTIVAL 2011 Sölvesborg, Svezia 8-11 Giugno 2011 torna all'inzio < torna alla pagina precedente vai alla pagina successiva >
Giovedì 9 Giugno E la prima giornata vera dello SRF 2011 si apre con il botto! Primo nome di giornata gli OZ, storica band heavy metal, che ci delizia per “colazione” (sono le 11.30 ma la maggior parte dei presenti si è svegliata da poco). Come al solito gli svedesi dimostrano di aver ben studiato le lezioni di storia (del metallo, chiaro!) e si presentano in ampio numero a questo opening act. La band finnico - svedese (a maggioranza svedese a dir il vero), che avrebbe meritato un posto più prestigioso nel cartellone del festival, propone uno show solido e efficace, con alcune nuove songs, gradite anticipazioni del prossimo disco in uscita, “Burning Leather”, atteso per l’autunno. La parte del leone la fanno i classici, su tutti “Gambler”, “Turn the Cross Upside Down” e “Fire In The Brain”. Li attendiamo al varco della nuova uscita discografica, in tour al più presto o magari in qualche edizione futura che non ci costringa all'uso forzato della sveglia.
Siamo costretti a staccare prima della fine dello show dei nordici per catapultarci sotto al Rock Stage, per il primo nome altisonante di giornata: i DUFF McKAGAN'S LOADED. Ce lo ricordavamo quale una delle figure più antipatiche, supponenti e spocchiose dei Guns n' Roses. Invece il pennellone di L.A. ci sorprende con dei lunghi e positivi discorsi sull'importanza dei fans (“sono uguale a voi, non sono una Rockstar viziata”) osannando a più riprese la “famiglia dei Rockers”. Una “good attitude” per usare eufemismi in stile Sunset Boulevard, molto apprezzata. Ben più della musica proposta dai suoi Loaded. Di carico non c'è molto, ed il loro rock stradaiolo e punkeggiante (faranno pure la cover dei Misfits "Attitude") non fa certo gridare allo scandalo. L'ex bassista si ingegna pure ai microfoni, con il suo cantato quasi incline alla stonatura, in piena impostazione punk ma, ad esclusione forse del recentissimo singolo "The Taking" abbastanza orecchiabile, le canzoni non riescono ad attecchire più di tanto ed a catturare l'attenzione del numeroso e paziente pubblico. Paziente, in quanto tutti si attendono i classici Guns dello scorso secolo. Cosa che avviene solo verso la fine, con “It's So Easy” e “Dust N' Bones”, giunte forse troppo tardi per far impennare uno show mediocre dell'ex Velvet Revolver e dei suoi Loaded. D'altronde non potendo più vedere i Guns per intero c'è anche chi si accontenta di dei loro singoli pezzi sparsi qua e là...
Fra un set e l’altro c’è anche tra di noi chi trovi il tempo per qualche esibizione “minore”, a caccia di sorprese, così eccoci anche sotto il palco dei SUMMONED TIDE. Si tratta quasi di un altro “One man show” alla stregua di Bob Log. Non per denigrare la bella bassista Jennifer Sikström e gli altri componenti del gruppo, ma l'attenzione la calamita interamente il frontman Rickard Thelin. Il singer, nonché lead guitarist della band, ha gran presenza scenica ed una bella voce che si ispira alla scuola Kiske e Bruce Dickinson (“If We Fall We Will Rise”), con qualche vago richiamo ad Andrè Matos (“Father Isac”). Forse a causa di alcuni problemi di suoni (stranissimo per questo Festival!), con le tastiere che sovrastano nettamente le chitarre o per il fatto che il quintetto di Umeå è risultato un po' freddo e distaccato, a tratti emozionatissimo, ma spesso lo show ne ha risentito in qualità. Considerando la loro giovanissima età (tutti sui 22-23 anni), e la loro innegabile potenzialità, siamo certi che avranno tutto il tempo per rifarsi. Rimandati.
Mentre una leggere pioggerella comincia a scendere fastidiosa, ecco il turno dei BUCKCHERRY: un piccolo evento per chi scrive, un miraggio vederli dalle nostre parti, speranza scioltasi al sole della seconda metà di Giugno (con la cancellazione della loro presenza al Sonisphere nostrano), ragione in più per sentirsi fortunati oggi sotto a questo palco. Segno tangibile: gli organizzatori hanno gratificato la band offrendo loro addirittura il main stage, risultato forse fin troppo grande per una band tutta sangue e sudore. Il pubblico non è di quelli oceanici ma c'è da considerare l'orario, la lunghissima coda al ritiro dei braccialetti agli ingressi, ed un’innocua pioggerellina nebulizzata che ci terrà compagnia per tutta la durata del set. L'inizio è un po' meno esplosivo di quanto ci si aspettasse, certo, una minore distanza dal pubblico per un contatto più diretto non avrebbe certamente guastato. L’ambiente ideale per gli americani sarebbe un fumoso club sul Sunset Strip e qui non fa nemmeno caldo! Ma piano piano la band inizia a far sul serio, ingrana e interagisce sempre più con i presenti. Poco più di un'ora di set è insufficiente per soddisfare la nostra fame, e quella dell'audience che fa tremare il terreno a più tratti soprattutto sulle famosissime "Lit up" e "Crazy Bitch", brano di chiusura della loro esibizione. Il pubblico prova a reclamare qualcosa di più ma purtroppo pare non esserci tempo e così si ha proprio l'impressione che tutto sia finito proprio sul più bello. Non ci resta che rivederli al più presto, magari al caldo, accalcati in qualche piccola venue nel nostro Paese!
Nel frattempo sul piccolo Zeppelin troviamo la DAN REED BAND. Dopo che, nella scorsa edizione, ci aveva commosso con la sua esibizione acustica in solitario, non ci aspettavamo certo di rivedere così presto il cantante americano calcare i palchi dello Sweden Rock Festival. Ed invece eccolo qui con la sua band elettrica in un pomeriggio caratterizzato da una pioggerellina fastidiosa. Purtroppo come spesso capita quando le aspettative sono troppo alte il concerto s’è rivelato una mezza delusione, innanzitutto perché rispetto ai bei tempi del Dan.Reed Network, la componente funky del loro sound si è molto ridotta. Così può capitare che un pezzo vivacissimo come “Ritual” si trasformi in una spenta semi ballad, molto simile alla versione acustica già sentita lo scorso anno. Certo, non son mancati alcuni bei momenti. Su tutte “Cruise Together”, “Rainbow Child” (sempre un lento che provoca forti emozioni) e “Get to You”, che riesce a far muovere più di qualche piedino tra il non foltissimo pubblico, salvando uno show altrimenti un po' troppo opaco. Non c'è tempo da perdere in questo caldo (solo a livello musicale...) pomeriggio ed eccoci già con un altro nome di grande appeal, JOAN JETT AND THE BLACKHEARTS! La non più giovanissima cantante americana, fondatrice delle Runaways, ha una storia lunghissima da raccontare e trovarla ancora qui su un palco dopo oltre trent'anni è già molto emozionante ed un evento degno di nota. Ci è quasi naturale fare il confronto con l'esibizione dell'altra Metal Queen, Lita Ford, esibitasi solo un paio di anni fa su questi palcoscenici svedesi, e la cui prestazione non fu certo esaltante. Ma bastano le prime note dell'opener "Bad Reputation" per fugare ogni dubbio e restituirci una Joan Jett in splendida forma, seguita da una band che non è da meno. Joan mostra chiaramente tutti i segni degli anni passati, e, anche se è molto meno appariscente della “bionda” Lita, sul palco sciorina ancora una gran prova, sorretta da una gran voce e da alcuni divertenti passaggi con il pubblico. Naturale che i pezzi delle Runaways facciano la parte del leone, così come la stra-famosa "I Love Rock N Roll", arrivata verso il finale di uno show che ci ha positivamente impressionato. Immortale!
Viene ora il momento dei QUEENSRYCHE. C'era una volta una Regina... Potrebbe sembrare l'inizio di una lieta novella, invece è il giudizio severo che ci è balzato in mente dopo aver assistito ad uno dei peggiori concerti dell'intero festival. I mostri di Seattle son sembrati freddi e distaccati, (che l'ultimo “Dedicated to Chaos” non sia andato nemmeno a loro tanto a genio?) e non hanno certo entusiasmato, come avvenuto in altri precedenti episodi, la folla straripante che ha preso d'assalto il Festival Stage. Nemmeno Geoff Tate è sembrato impeccabile, non solo vocalisticamente parlando, preferendo sprecar energie nel soffiare dentro al suo amatissimo sassofono (“At 30,000 Ft. “), piuttosto che coinvolgere ed accattivare il pubblico. In un genere così particolare di festival, non sarebbe stato meglio proporre la solita scaletta zeppa di vecchi classici, invece di raffreddare uno show già di per sé parecchio zoppicante e pieno di pause, relegando il materiale più recente e sicuramente meno sensazionale ad un tour promozionale ad hoc? Canzoni quali "Get Started", "Hit the Black", "Around The World" solo per citarne alcune, son sembrate ai più dei riempitivi ed han destato ben poche emozioni ed entusiasmi tra i presenti. Nemmeno le dolci melodie di canzoni più datate quali “NM156”, “Lady Wore Black” e la classica ballatona “Silent Lucidity” ed il solito finale (“Empire”)ci han restituito un sorriso convinto d'appagamento. Non sappiamo se e quando DeGarmo si deciderà di allietare la loro Storia, per il momento il triste finale è un implacabile “... E NON vissero tutti felici e contenti...”
Di tutt'altro tenore i nostri commenti al termine dell'esibizione degli ACCEPT. Si fa quasi sera ed il Festival inizia a fare veramente sul serio: in poche ore ci offriranno Accept, Saxon e Judas Priest... roba forte... Da "palle sul muro". Estratti dagli armadi bracciali borchiati e giubbotti jeans con tanto di toppe delle bands degli anni ottanta, ci uniamo a migliaia di attempati presenti (ma c'è pure una marea di bella gioventù) al Rock Stage. La mitica band teutonica (che inizia proprio con "Teutonic Terror"...) è orfana da anni del colonnello Udo, con il quale sembrerebbe lontana ed improbabile un'agognata reunion, avrà stasera il gravoso compito di regalarci uno show convincente e non farci rimpiangere il piccolo grande uomo in uniforme. Anche se chiaramente la sua assenza non si può non notare, i tedeschi ci spiazzano con autentiche cannonate “Starlight”, “Breaker” ma anche con la più recente “New World Comin'” che non sfigura affatto in mezzo ad autentici inni adolescenziali “Restless & Wild” e “Metal Heart” che ci fanno emulare il classico movimento “air-guitar” eseguito alla perfezione sul palco dalla ditta Hoffmann-Baltes. Quest'ultimi fanno quadrato intorno al nuovo singer Mark Tornillo che differisce solo nel look al caro vecchio Udo, in quanto la qualità della sua voce stridula risulta praticamente allo stesso livello del suo predecessore. Lo show scorre senza grandi pecche, se non quella di non durare all'infinito. La nostra fame non si placa, nemmeno quando veniamo investiti da “Fast As A Shark” e dalla conclusiva "Balls To The Wall" che ci tolgono definitivamente le nostre ultime energie. Gli Accept sono un'autentica macchina da guerra, e ha ben poca importanza il fatto che la truppa non sia più condotta da un colonnello...
La giornata è veramente piena di eventi (forse troppi), in un cartellone così ricco di nomi di spicco, ci viene proposto un altro moniker dal passato glorioso: i CULT. Anche se sono lontani i periodi dorati della band, gli inglesi non faticano a ritagliarsi ancora oggi un corposo seguito di pubblico, sarà anche per la solita "competenza svedese", sarà anche per la memoria di una band che aveva raggiunto vette clamorose negli 80's. Quanti possono permettersi il lusso di aprire un concerto con un pezzo di successo mondiale come fu "Rain"? Su tutti spicca il leader Ian Astbury, la cui personalità, seppur discussa, è sempre carismatica e, se anche sembra risentire un po' troppo della sindrome "Jim Morrison" (lo show finirà proprio con “Break On Through, To The Other Side”) domina facilmente il palcoscenico. Se poi fortunatamente riserba ancora una voce abbondantemente all'altezza della fama, ciò basta e avanza per annoverarli tra i migliori della giornata. I suoni sono ben più ruvidi rispetto a quanto ci ricordavamo su disco, rendendo più potente il loro show, anche grazie alla presenza, dietro alle pelli, di John Tempesta, l'ex tecnico della batteria di Benante degli Anthrax, che ha militato in band un po' meno “pop”: Exodus e Testament su tutte. Autorevole la presenza dello storico Billy Duffy che non ha fatto fatica a deliziarci con autentiche perle ripescate dal passato quali “She Sells Sanctuary”, “Love Removal Machine”, “Wild Flower” e “Nirvana”.
L'accavallamento degli eventi ci costringe purtroppo a “tagliare” il tempo a nostra disposizione e non ci permette di assistere a tutte le performance della giornata. Ma è troppa la curiosità di vedere dal vivo i GWAR. Lo show rimarrà sicuramente a lungo nella memoria del nostro fotografo Lorenz che è stato ricoperto da uno strano liquame marroncino, vomitato dal palco direttamente sulle prime file (foto-pit ovviamente incluso). Neppure un mantello protettivo l'ha potuto aiutare più di tanto! Ma al di là delle imponenti armature in lattice, delle maschere mostruose e degli effetti speciali, a noi interessava più l'aspetto prettamente musicale, e ad esser onesti, non siamo rimasti colpiti favorevolmente, forse anche per l'ammasso di suoni non molto comprensibile che ha penalizzato la band statunitense. C'è parso di assistere ad un concerto abbastanza mediocre, ad uno show insano, un semplice momento di colore e nulla di più. Eppure questi fenomeni da baraccone, vantano una discografia vastissima, una trentina di uscite tra DVD e Cd. Vallo a spiegare a chi dovrà lavare i vestiti alla gran parte degli esaltati giovanissimi, che con gran entusiasmo si facevano ricoprire continuamente dal mare di liquame multicolore costantemente sparato da Oderus Urungus e compagnia bella...
Con il calare delle tenebre, arriva un altro momento dedicato agli amanti del metallo classico, i SAXON si esibiscono al Rock Stage a due anni di distanza dalla loro ultima apparizione svedese. Stesso stage, stessa scenografia, stessa aquila a dominare palco. E stesso solito grande e solido show di Biff e soci. Ogni parola potrebbe sembrare sprecata per definire un loro concerto. Se non fosse che oggi si celebrano i trent'anni dall'uscita di "Denim And Leather" per cui è scontato che stasera lo suoneranno per intero! E ciò comprenderà pure alcuni pezzi che non si udivano dal vivo dai primi anni '80! Poco importa se il cantante britannico dovrà leggere il testo di nascosto, in qualche canzone sparita dalla setlist da tre decenni... Lo storico disco degli inglesi viene riproposto intorno alla metà del set, prima che la title track lanci la sequenza magica delle immortali hits "Princess Of The Night", "747", "Crusader", "Strong Arm Of The Law" e "Wheels Of Steel" a suggellare una serata grandiosa. Non sentivamo neppure l'esigenza di avere pure un paio di pezzi più "recenti" per completare una serata di per sé magica, di fronte ad una mitica formazione che ha fatto la storia della nostra musica. Quali altre bands possono permetterlo? I Maiden, i Motörhead? Se al mondo d'oggi vengono sempre meno le certezze, quella di non rimanere delusi da un concerto dei Saxon è certamente una di queste!
La lezione di storia della Musica di oggi si conclude con i JUDAS PRIEST. Molto rumore era circolato nei mesi precedenti attorno a questo tour, dapprima annunciato come l'ultimo, allarme poi rientrato e ridimensionato. In seguito a far parlare era stato l'abbandono di K.K. Downing proprio alla vigilia di questo mega-tour. Gli occhi erano così puntati sul sostituto alle sei corde, Richie Faulkner, trovato in fretta e furia nel poco tempo a disposizione. E il più giovane Richie sembra essersi calato bene nella parte, anche perché il dover sostituire lo storico K.K. non dev'esser la cosa più semplice del mondo. La scaletta comprende anche pezzi abbastanza sorprendenti, (qualche esempio? da quanto non si sentivano “Starbreaker” e “ Never Satisfied”?) Poco meno di due ore di show che ha toccato quasi tutti i momenti storici della band, dagli esordi sino all'ultimo "Nostradamus", lasciando per il finale gli immancabili hits che oramai tutti conoscono. Il palco è come sempre imponente e di grande impatto visivo. La band si muove in mezzo ai giochi di luci e dei laser, come è lecito attendersi, su abituali schemi oramai collaudati in così tanti anni di militanza. Rob Halford si dimostra particolarmente a suo agio e in forma... Ma non era sul viale del tramonto?! Inutile dire che la maggior parte del pubblico si scatena definitivamente nel finale. "Breaking The Law", "Painkiller", "Hell Bent For Leather" la cui presenza in scaletta è scontata ma sempre di sicuro effetto. Mentre la notte gelida si sta piano a piano impadronendo di Norje, le migliaia di fans abbandonano lentamente l'area del Festival con la gioia di aver trascorso una giornata sicuramente positiva ed indimenticabile. Fischiettando ancora i motivetti dei Judas In molti un dubbio sorge spontaneo: “Come si fa a pensare che si vogliano ritirare?!”
E questi dubbi ci accompagnano mentre sorseggiamo l'ultima bevanda di giornata al riparo del backsatage bar. Anche domani si comincerà a far sul serio molto presto, quindi non ci intratteniamo fino a chiusura, per concederci il meritato riposo! (2/4 continua...)
|
|||
|
||||
|