Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Live Report: SPECIALE SWEDEN ROCK FESTIVAL 2011

SWEDEN ROCK FESTIVAL 2011

Sölvesborg, Svezia

 8-11 Giugno 2011

torna all'inzio          < torna alla pagina precedente        vai alla pagina successiva >

Venerdì 10 Giugno

La terza giornata di festival si apre con un nome nuovo ma già in rampa di lancio verso un radioso futuro, strombazzata "next big thing" nel mondo dell'AOR svedese: gli HOUSTON. Abbiamo sempre amato lo Sweden perché spesso ci regala delle chicche e ci sorprende con delle band a noi sconosciute prima delle loro performance (Firewind, Heat, Circus Maximus tanto per nominare qualche precedente illustre...). Quest'anno è toccato, per pura combinazione sempre allo Zeppelin Stage, a questi giovanissimi bambinoni di Stoccolma. Il magnifico duo Freddie Allen e Hank Erix è abilissimo a conquistare l'audience, grazie alle magiche atmosfere ed al loro A.O.R. di prima qualità, manna per fans di Survivor, Boston, Foreigner e Journey. Il vocalist Hank forse dovrebbe lavorare un po' di più sul look (si presenta sul palco con un accappatoio stile boxeur, poi indossa la canotta di Olajuwon, l'ex giocatore degli Houston Rockets, con una fascetta ed un ciuffo che farebbero felici gli Steel Panther) ma ha una voce incantevole, soprattutto in melodie al miele quali “Under Your Skin” e “Truth Slips”. Abbiamo ammirato stupiti i loro 40 minuti di spettacolo con l'intera collinetta dello Zeppelin abbracciata in un unico coro durante “Hold On”, singolo che a quasi un anno dalla data di release, ha fatto strage qui in Svezia ed ha venduto già parecchie migliaia di copie nel mondo. In Inghilterra la band farà addirittura da supporto ai Cinderella e sarà presente al prestigioso Firefest Festival di Nottingham. Che il trono degli H.e.a.t stia vacillando in Scandinavia? Il loro prossimo disco (previsto per autunno-inverno) ci fornirà sicuramente qualche dettaglio in più.


 

Mezzogiorno di fuoco: sono di scena gli STEELHEART. Molti si sono alzati già all'alba (che qui equivale alle dieci/undici del mattino) per essere presenti in tempo all’esibizione

dell’americano venuto dall’Est, quel Miljenko “Michael” Matijevic, che a quanto dice il booklet di presentazione, dovrebbe esser in grado, con i suoi famosi acuti, di mandare in frantumi tutti i bicchieri di vetro presenti al Festival. Il pubblico è quello delle grandi occasioni, ma la febbrile attesa si dimostra forse fin troppo eccessiva e si scontra con una realtà non troppo convincente con le aspettative. Troppi gli estratti dalla discografia recente così come dalla colonna sonora del famoso film "Rock Star", sebbene più conosciuti dalla massa, ma che va a penalizzare i veri fans della band, che avrebbero preferito ascoltare del materiale di ben altro spessore, ovvero quello dei primi anni '90. Non che la voce del leader Matijevic sia giù di forma, anzi, ma risultano sin troppo divergenti i passaggi all'interno dello show perché il set si possa dire riuscito completamente. Anche se le loro perle "Everybody Loves Eileen" ed il bis "She's Gone", non posson far altro che strapparci un sorriso ed un applauso convinto.


 


 

C’è poco tempo per cambiare palco e genere musicale, pur rimanendo su altissimi livelli di storia e di classe. L'arena del Festival stage stracolma di gente, è ora terreno di caccia dei Mr.BIG, band che non ha sicuramente bisogno di grandi presentazioni, anche perché si presenta qui con la adorata line-up originale. Sarà forse per l’ora insolitamente “prematura” per il rango di un dream-team come questo, ma sin dalle iniziali “Daddy, Brother, Lover, Little Boy”, “Green-Tinted Sixties Mind” e la nuova e apprezzabilissima (almeno sull’ultimo disco) “Undertow” ci sembra che qualcosa non fili per il verso giusto. Ci pare che ognuno suoni per conto suo, il sound ci arriva un po’ slegato ed il vocalist Eric Martin (sarà per il braccio destro ingessato?) si dimostra, cosa alquanto insolita, un po' in sofferenza. Che non sia tutta colpa della “maledizione” che taglia le gambe delle bands che calcano il “main stage”, qualche ora prima degli headliners?!

Dopo un inizio parecchio incerto, dove anche il pubblico appare un po’ freddo e distaccato, fortunatamente arriva la svolta. Merito della ballatona “Just Take My Heart”, della veloce “Colorado Bulldog” e della splendida “Alive and Kickin’” o degli assurdi assoli di chitarra e di basso, che ci dimostrano, ce ne fosse il bisogno, che Paul Gilbert e Billy Sheehan sono dei marziani. Quando utilizzano pure i noti trapani, durante le loro acclamatissime esibizioni, lo spettacolo giunge ai massimi livelli, ci risolleva nel morale e fuga ogni nostro timore. Il coro generale, sulle note della conclusiva "To Be With You", ci restituisce un sorriso di soddisfazione, e cosa ben più importante, una band, che nonostante i quasi dieci anni di naftalina, dimostra di esser ancora molto lontana dall’età pensionabile.


 

Di ben altro tenore e potenza lo show degli ICED EARTH. Annunciato l'abbandono del talentuoso singer Matt Barlow alla vigilia del tour, gli americani hanno comunque deciso di affrontare i festival estivi avvalendosi ancora della sua preziosa presenza. Trattandosi di una delle ultime occasioni per vederlo all'opera, e siccome è facile prevedere un solido show di successo della band di Tampa, non ci mettiamo molto a scegliere di dirottare le nostra presenza, anche se solo per assistere ad una parte del loro concerto, verso il Rock Stage. Quando si chiude il loro set -su “Iced Earth”- i die hard fans avranno sicuramente cominciato a preoccuparsi del futuri della band, pur con ancora l'adrenalina e l'entusiasmo suscitati da questa esibizione. Sarà ora da vedere se John Schaffer e soci troveranno un valido sostituto in Stu Block degli Into Eternity. Un compito non certo facile il suo!

 

Qualcuno di noi si concede una divagazione per il set di JASON & THE SCORCHERS, band americana dove suona Pontus, cantante degli svedesi Bonafide, qui alla batteria. Uno show contaminato dal loro country rock'n'roll con il quale Jason (che non è più un ragazzino) fa saltare il pubblico per tutta la durata del loro spettacolo spensierato, assolutamente divertente, pur senza grandi fronzoli. Il pubblico presente non è numerosissimo, (anche a causa delle troppe concomitanze), ma apprezza e viene ricompensato anche a fine esibizione, con una sorta di improvvisato meet & greet appena giù dal palco. Divertimento assicurato!


 

E' un peccato dover lasciare il campo a metà per dirigersi verso il palco principale dove stanno per cominciare i DOWN di Phil Anselmo, altro nome di punta dello Sweden. E come da programma, il pubblico è qui in numero abbondante, ci sono tanti metalhead, tanti i fans dei Pantera, per uno dei appuntamenti più “estremi” di questo che dovrebbe essere un festival principalmente Rock. Phil è animale da palcoscenico, catalizza facilmente le attenzioni dell’audience, spingendosi costantemente fin sulla punta della lunga protuberanza del palco che si erge in mezzo all'arena a cercare il contatto con i suoi fans. Chiacchiera costantemente nelle pause dimostrando pure un buon senso dello humor che non gli conoscevamo, ed un’ottima forma fisica e vocale. Il set è dedicato completamente al materiale Down, ed è infarcito dai loro testi politicamente impegnati in songs quali “New Orleans Is A Dying Whore” o “Ghosts Along The Mississippi”. Va dato comunque merito a tutta la band, che sembra divertirsi molto sul palco, se il loro si dimostra un ottimo show, forte del loro sound moderno, originale, per niente banale. Peccato solo che duri molto meno di quell'ora e mezza a loro disposizione. Ci sarebbe stato lo spazio per qualche cover o qualche bis, e considerando pure il clima festivaliero, non avremmo disdegnato di riascoltarci qualche estratto dai Pantera. Invece il supergruppo statunitense saluta un pubblico comunque soddisfatto con le datate “Stone The Crow” e “Bury Me In Smoke” dal loro famoso debut album.


 

Ma eccoci di nuovo di corsa per raggiungere il piccolo Zeppelin Stage dove stanno per cominciare gli ELECTRIC WIZARD. Il loro doom psycho metal con influenze molto seventies è ammaliante e, seppur a tratti un po’ troppo macchinoso, coinvolge i presenti raccogliendo un discreto seguito nonostante le tante concomitanze. Sessanta minuti di buona musica, che non si fanno notare solo per un bassista alquanto particolare e bizzarro. Ha tatuaggi che gli ricoprono anche gran parte delle mani e della faccia, ed inneggia alle droghe proprio mentre i religiosissimi Stryper si stanno preparando all’altro lato dell’arena. Un set da "intenditori" quello proposto dai doomster inglesi, che pur essendo un nome poco conosciuto ai più, nobilita un bill straripante come quello dello Sweden Rock, dando un bel tocco oscuro sul luminoso pomeriggio di Sölvesborg con le proprie “Satanic Rites of Drugula”, “Dopethrone” o “The Nightchild”, giù fino alla conclusiva “Funeralopolis”!


Di ben altro tenore lo show del vicino Sweden Stage, con altri rappresentanti degli anni Ottanta: gli STRYPER, capostipiti di quel movimento “Christian metal” nato anche per cercare di contrastare le crociate e le associazioni americane che in quei tempi cercavano in tutte le maniere di censurare e bannare i dischi heavy metal. Le sette-ottomila persone pronte per il “yellow & black attack” vengono subito accontentate: il quartetto si presenta con "Sing-Along Song" tutto bardato di strisce giallo nere, strumenti inclusi. Il vedere dal vivo un Michael Sweet così maledettamente in forma fa quasi impressione; stentiamo a credere che sia vicino ai 30 anni di attività (segni invece più evidenti nel fratello Robert e negli altri componenti della band, Oz Fox su tutti). Sembra quasi che il frontman abbia fatto un patto con il diav…ops, o meglio, goda di qualche aiuto dall’Alto dei Cieli… Il concerto fila tutto d’un fiato a ritmi e livelli eccezionali. Michael suona, canta ed incanta il pubblico in maniera divina, sia quando ci propone il materiale più datato "Loud N' Clear", (col solito duetto con l’audience) sia con gli estratti dall’eccezionale ritorno con il recente "Murder By Pride". C’è pure il tempo di gratificare la loro ultima raccolta di cover andando a celebrare i mostri sacri del nostro movimento (Black Sabbath) "Heaven And Hell", per di più dedicato alla memoria di Ronnie James Dio, (Ozzy) “Over the Mountain” e (Judas) "Breaking The Law". Ma sono i loro classici di tutti i tempi, l’incredibile "Calling On You" ed i bis "To Hell With The Devil" e "Soldiers Under Command" a chiudere 90 minuti di pura goduria, prima che il predicatore Michael Sweet raccolga tutti in una breve preghiera collettiva, culminata con il celebre lancio di bibbie in mezzo al pubblico.


 

Anche se la maggior parte della nostra troupe si gode lo show degli Stryper c’è chi di noi che preferisce gettarsi sotto al Rock Stage dove un pubblico straripante accoglie gli idoli nazionali MUSTASCH. Anche perché pur essendosi esibiti più volte in precedenza qui allo Sweden, ce li eravamo sempre persi a causa di altri eventi concomitanti. Per fortuna la loro è oramai divenuta una presenza costante in tutti questi anni di festival. Se poi ci aggiungiamo che quest’anno, si sono guadagnati (a pieno merito), pure l'arena più importante, e per di più, in una delle ore topiche e più “calde” della giornata… Ralf Gyllenhammar,il vocalist /presentatore televisivo svedese, dà sfoggio di tutto il suo moderno stoner rock con grande savoir faire e consumato professionismo, di fronte ad un'audience che lo adora e fa sentire costantemente il proprio calore a tutta la band. E loro rispondono con un set di grande energia, assolutamente convincente. I Mustasch sono da tempo sulla cresta di una crescita esponenziale più unica che rara di questi tempi, chissà se e quando qualcuno si accorgerà di loro anche da noi, in Italia?!

C'è molta attesa per ROB ZOMBIE, che da buon regista si presenta con una coreografia così imponente che persino gli headliners se la sognano! Tutto è studiato nei minimi dettagli, degli enormi cartelloni in bianco e nero riportano le immagini dei classici horror di Hollywood (“Il Conte Dracula”, “King Kong” ecc…), persino le aste dei microfoni sono addobbate a dovere, non mancano maschere e costumi di scena. Ci si aspetterebbe un frontman dal fisico bestiale ed invece ci troviamo davanti un furetto saltellante tutto treccine rasta e trucco horror (la ferita che gli lacera mezza fronte è veramente molto realistica!), l’opposto di quell'uomo acqua e sapone, visto durante la press-conference, qualche ora prima. A gran sorpresa, in questo festival di suoni campionati e contaminazioni "industrial" ci aspetteremo la glorificazione del singolo dell'ultimo loro lavoro dal ritornello così accattivante e così facile da canticchiare (dal testo parecchio esplicito: "Rock Motherfucker"). Ed invece dell'imponente hit "Sick Bubblegum" nemmeno l'ombra, neanche nei numerosi (ben 3!) "encore" e nella ventina di canzoni proposte a fine dei novanta minuti. Che sia un trucchetto, per costringerci a rivederlo in prossime occasioni? Non possono mancare invece gli estratti del suo passato White Zombie: "More Human Than Human”, “Super-Charger Heaven” e “Thunder Kiss '65” Anche i classici “Dragula” e “Mars Needs Women” completano uno show molto energico che ha fatto smuovere e ballare l’audience in più di un’occasione. A prescindere dai gusti musicali, il debutto allo Sweden di John5 (chitarrista, già con Marilyn Manson), del poliedrico Piggy D. (al basso) e compagnia, meritava di essere visto, e alla fine non avrà certamente deluso i presenti!


 

Forse la più "dolorosa" concomitanza di tutto il festival: OVERKILL ed HELLOWEEN si esibiscono a poche centinaia di metri di distanza, negli stessi medesimi orari. Sebbene il mio vecchio cuore batta per entrambe le bands che costituirono gran parte della colonna sonora della mia adolescenza, negli 80's, il trasher che era in me, mi spinge decisamente verso lo Sweden Stage, che già strabocca di gente d'ogni età. E senza alcun'offesa verso le zucche d'Amburgo, mai scelta si rivelò così felice. Novanta minuti da paura, un tuffo nel passato ("Death Rider" ripescata dai loro primissimi demo-tape?), un set indimenticabile, passione, sudore e potenza, tanta potenza. Come succederà pure con gli Evergrey, abbiamo temuto che lo show venga sospeso per aver infranto di gran lunga ogni limite di superamento dei decibel consentiti. Il merito di questo fantastico show va ascritto ad un piccolo grande uomo: Bobby "Blitz" Ellsworth, che aggredisce con la sua voce gracchiante, salta su è giù per il palco, conquista con le sue famose pose (ma non ha superato i cinquant'anni suonati?), i suoi discorsi ed intermezzi. Attorno a lui gravita una band ben affiatata, dove la base ritmica (c'è ancora il mitico bassista DD Verni!) devasta le orecchie dei presenti in perle quali "Rotten to the Core", "Hello from the Gutter", "In Union We Stand". La scelta dei brani da proporre in una discografia che poche bands si possono permettere è graditissima. Durante la mitica "Elimination", abbiamo visto il servizio d'ordine svedese messo in scacco da una cinquantina di indiavolati thrasher impegnati in un vortice improvvisato davanti al divertito frontman. In barba alla regola che proibisce il pogo e qualsiasi altro atto "violento", e che porterebbe addirittura alla confisca del braccialetto ed alla conseguente espulsione dall'area del Festival. La devastazione raggiunge l’apice con la canzone regina di tutto il festival : "Fuck You!!!" Sarà pure una cover, ma è l'inno che tutti vogliono sentire e cantare. Subiamo un colpo quasi letale alle coronarie, durante il tentativo di Bobby di tuffarsi tra gli impazziti fans per un'impossibile stage diving. Per (s)fortuna la distanza dal palco è tale da impedire il classico tuffo con il quale i trashers newyorkesi chiudono il loro set. Una macchina schiacciasassi!

Qualche sparuto elemento della truppa è invece rimasto sull'altro lato dell'arena per seguire lo show delle Zucche d'Amburgo. Avendoli già visti pochi mesi orsono in Italia, durante il tour europeo, questa serata non può riservare grandi sorprese. Prevedibile pure il bagno di folla sin dalla partenza affidata alla recentissima "Are You Metal?" raro estratto dall'ultimo "7 Sinners" poiché fortunatamente la scaletta, con grandissima gioia dei presenti, trova il suo centro gravitazionale sui pezzi della loro prima era. Sono i classici "March of Time", "Future World", "I Want Out" a ravvivare lo show, pezzi storici conosciuti pure da chi, distrattamente, passa sulla strada statale che scorre a fianco del Rock Stage. L'epicentro ed il loro momento top della serata degli amburghesi è stato senza dubbio quello dedicato al medley che in una decina di minuti ci ha fatto rivivere le emozioni dei loro storici "Keeper of The Seven Keys" e "Halloween" inframezzati dalla più recente "The King for a 1000 Years". Dopo una breve pausa è il bis "Dr. Stein" a chiudere la serata e a raccogliere la giusta ovazione del loro pubblico. Il loro compitino è stato portato sicuramente a termine con successo per buona gioia di chi è riuscito a "sdoppiarsi" e a godersi pure di un tuffo tra le zucche in un festival infinitamente ricco, variegato e "multipalco" come lo Sweden Rock!


 

Inizialmente qualcuno si aspettava un nome più altisonante e ad effetto per gli headliners del venerdì, ma forse a causa dei (troppi?) dollari spesi per assicurarsi Ozzy Osbourne, ci ritroviamo in questa posizione importante del cartellone, i WHITESNAKE, con l'annuncio della presenza di alcuni special guest prestigiosi, per incendiare l'evento ed aumentarne curiosità ed aspettative. Dopo il solito intro, l'apertura è affidata a "Best Years", subito dopo le lancette del tempo scivolano indietro con le pietre miliari : "Give Me All Your Love",  "Love Ain't No Stranger" e "Is This Love". Saranno sempre quelle ma è sempre una goduria potersele riascoltare dal vivo. Sorprende per quanto valide risultino pure "Forevermore" e "Love Will Set You Free", estratti dalla loro ultima fatica, che non sfigurano (anzi!) nell'impietoso confronto con gli hits del passato.
Tuttavia pare chiaro a tutti come, al di là dell'immutato charme e carisma, i segni del tempo siano sempre più impietosi verso un Coverdale che fatica sempre più a mantenere alto il livello del suo faticoso compito (per carità, molto difficile), soprattutto nelle rock songs più potenti e più datate. Pertanto i "riempitivi" escogitati per donargli delle utilissime pause, finiscono per far perdere la pazienza a più di qualcuno a quest'ora della notte. Gli assoli del batterista Brian Tichy, un lunghissimo "guitar Duel" della coppia più bella del mondo Doug Aldrich e Reb Beach, rubano troppo spazio ad uno show di soli 90 minuti, altro aspetto che delude, visto che agli headliners viene solitamente affidato il main stage per due ore e mezza, almeno sulla carta...
Qualcuno si sta pure chiedendo che fine abbiano fatto i tanto sbandierati "special guests". E' quasi mezzanotte e mezza quando salgono sul palco due chitarristi storici della band. Un ingrassato Bernie Marsden spara l'inizio di "Fool For Your Lovin'" a cui fa seguito il mitico Adrian Vandenberg che si unisce alla band per il finale di "Here I Go Again" e "Still Of The Night" eseguita a "ventiquattro corde". Fermo restando che la regola numero uno del nostro manualetto prevede che "non si può parlare mai male dei Whitesnake", ad esser onesti, la loro esibizione di tre anni fa, su questo stesso palco (e non nel ruolo di headliner) ci sembrò molto più convincente ed entusiasmante. Il solito set proposto, la breve durata, i troppi palliativi, han gettato qualche ombra sulla loro prova, mitigata, ma solo in parte, dalle prestigiose presenze dei loro ex componenti e dall'indiscutibile valore e qualità della loro musica.


 

Nel frattempo dopo un'oretta di Whitesnake, qualcuno ha ben pensato di defilarsi. Coverdale è già stato visto e rivisto, molto meglio godersi al piccolo Zeppelin, i GHOST, la band del momento a queste latitudini, il pubblico che li accoglie è in buon numero! L’ora, anche se concomitante con il Serpente Bianco, ben si adatta alla loro esibizione e l'oscurità partecipa alla buona riuscita dello show. L'uso frequente di fumo avvolge gli artisti on stage, tutti mascherati a dovere, e mantiene un costante alone di mistero. Già nessuno ne conosce l'identità, i “fantasmi” evitano pure di interagire con il pubblico in qualsiasi modo, salvo qualche sporadico gesto. Quello che ci spiazza è che, di fronte ad un palco colmo di simboli, al loro vestiario e ai testi che ci fanno credere che siano una band dedita ad un metallo molto pesante, ci troviamo coinvolti, invece, in atmosfere pervase da un piacevole rock melodico! Il loro sound a tratti risulta addirittura “popeggiante” (alla Beatles per intenderci). Prova ne sia che l'unica cover eseguita stasera è "Here Comes The Sun". Il loro “limite” è che gli orecchiabilissimi cori in effetti sono intrisi di testi piuttosto espliciti (“Satan Prayer”), per cui difficilmente potranno trovare spazio sulle radio nazionali. Il risultato del loro spettacolo è sicuramente sorprendente e accontenta un pubblico eterogeneo. Chissà se sapranno andare oltre all'effetto sorpresa, a raggiungere buoni livelli di vendite per poter riproporre sempre dei concerti così sorprendenti e poco scontati. Potrebbero seriamente diventare una stella di prima grandezza e non restare confinati al loro ruolo attuale. Quello di una meteora, al momento, molto splendente.


 

Ci si ritrova al backstage bar per un'ultima birra e le ultime impressioni su di una giornata piena di avvenimenti, c'è ancora qualcuno con un po' di energia, ma c'è ancora una intera giornata di festival ed è meglio centellinare le energie in vista del gran finale, abbandoniamo quindi il campo quando comunque sono già le due! (3/4 continua...)


torna all'inzio          < torna alla pagina precedente        vai alla pagina successiva >