GIOVEDI’ 7 GIUGNO
Prima giornata piena (e che
giornata!!) e si comincia a ballare fin dal mattino quando gli IMPERIAL
STATE ELECTRIC, la band di Nicke Andersson, ex Hellacopters ed Entombed,
approda a questo Sweden Rock con la sua carica di rock’n’roll verso
mezzogiorno, con l’intento di svegliare un po’ gli assonnati presenti.
Purtroppo oggi cominciano le solite, e spesso dolorose, concomitanze, per
cui non riusciamo a seguire interamente il loro set, come avremmo voluto. Lo
show è comunque abbastanza usuale (almeno per chi, come noi, li ha già
visti): sound grezzo e sporco che fa felici i fans di vecchia data degli
Hellacopters e che stride un po’ con la resa dei pezzi in studio, che
risultano meno heavy e più vicino alle sonorità dei 60’s. La loro recente ed
ultima fatica, “Pop War” la fa chiaramente da padrona, nella scelta dei
brani da riproporre. Altrettanto scontato che il protagonista di giornata
sia il “solito” Nicke, che nel finale ci regala pure un’esibizione alla
batteria, suo strumento ai tempi degli Entombed. Una scarica di energia che
arriva forse in un momento troppo “mattiniero” e prematuro ma che sarà stato
assolutamente apprezzato dagli amanti del rock’n’roll: Genere che ora
sentiamo ancora più vivo che mai!
Dolorose,
concomitanze??? Ecco una delle prove più lampanti! Divertirsi ai ritmi Rock
n’Roll con Mr.Hellacopters o raggiungere la vecchia guardia e godersi uno
spettacolo molto ma molto datato nel tempo con un gruppo mitico e storico:
gli EXCITER!? Allo Sweden Stage è, infatti, giunto il momento di un
godurioso tuffo nell’album dei ricordi con il gruppo canadese che mette a
ferro e fuoco questo lato del festival con il loro classicissimo speed / us
thrash metal. E poca importanza ha il fatto che, purtroppo, di quella
storica formazione originale, sia rimasto il solo chitarrista John Ricci,
come si fa a non farsi invogliare al più sfrenato headbanging con i loro
numerosi, vecchi, cavalli di battaglia: “Heavy Metal Maniac”, “Pounding
Metal” e “Long Live the Loud”? Pur che faccia degli sforzi disumani (con
tanto di vene che gli “scoppiano” dalla pelatona), Il cantante attuale,
Kenny "Metal Mouth" Winter, non riuscirà mai ad eguagliare il mitico Dan
Beehler, ma tutto sommato se la cava egregiamente nel suo ruolo fino alla
conclusiva “Violence and Force”. E’ allora che ci accorgiamo quanto gli
speed-metallers di Ottawa ci abbiano preso a pugni nello stomaco per almeno
un’ora!
A volte lo Sweden Rock
scivola in segmenti persino troppo classici del rock, fin da arrivare ai
limiti delle nostre seppur ampie vedute. E’ il caso dei 10CC, che si
ritrovano, incredibilmente, almeno per il nostro punto di vista, sul main
stage e con un seguito eccellente. Eppure il loro sound è leggerino e
strizza l’occhio agli anni Settanta (a rispecchiare la loro età “non più
giovane”), con un look molto british. Anche se li seguiamo a
distanza, dobbiamo ammettere che i “vecchiacci” inglesi non sfigurano
affatto, anche perché ci mettono del loro per coinvolgere tutti i presenti.
Il loro sound è però troppo poppy e leggero per i nostri gusti, e ci
trattiene solamente per un paio di canzoni, anche perché nel ben più piccolo
Zeppelin c’è un set, per noi, imperdibile!
Ben diversa è
l’atmosfera che troviamo sotto allo Zeppelin. Se c’era bisogno di una
dimostrazione pratica di quanto speciale sia questo Festival e di quante
chicche esso ci possa offrire in questa mezza settimana svedese, ecco i
LITTLE ANGELS! Anche se rientra nell’elenco delle band da noi
conosciute, siamo stati sorpresi da tanta classe e conseguente
coinvolgimento del folto pubblico! Anche il cantante, Toby Jepson, ci era
già noto, grazie alla sua militanza nei Fastway, ma non ce lo ricordavamo
così dotato di ottima voce e di grande presenza sul palco. Ma è tutto il
complesso a funzionare a meraviglia, tra canzoni intonate nel classico “sing
along”, suoni perfetti, melodie a profusione: l’ora a disposizione vola via
che è un piacere. Ora speriamo che, di fronte a questo, inaspettato,
rientro, faccia seguito un nuovo album e di conseguenza, altre esibizioni
live. Bentornati Piccoli Angeli!
Ore
15, l’arena principale dello Sweden Rock diventa terreno di caccia con uno
dei set più terremotanti dell’intero Festival: gli EXODUS! I thrasher
americani cercano di svegliare il sempre tranquillo pubblico svedese e la
loro musica è come sempre una cannonata, sin dall’iniziale “The Last Act of
Defiance“. Per fortuna che siamo nel bel mezzo del pomeriggio, in mezzo
ettaro di aperta campagna, piuttosto che in un piccolo club della Bay Area
altrimenti avremmo temuto per la nostra sopravvivenza. Fa piacere notare che
oltre a noi attempati amanti del mitico thrash proveniente da Frisco, ci
siano parecchi ragazzini in giovane età. Il set potente e violento nelle
giuste dosi, sembra piacere anche a queste nuove generazioni, visto che in
poco tempo, si forma anche un discreto moshpit, per fortuna tollerato dalla
security, solitamente invece molto più fiscale. La band è in grande
spolvero, su tutti la montagna, il vocalist Rob Dukes ed il mitico
chitarrista Gary Holt, unico superstite sin da quel mitico “Bonded By Blood”,
che nel 1985 risvegliò le menti (noi compresi) e fece conoscere il Thrash
Metal nel mondo. Graditissima la scelta della track-list che ignora
completamente la loro ultima fatica (“The Human Condition”) e ci propone
quasi interamente proprio il loro famoso debut album (manca proprio “Exodus”!).
Le finali “A Lesson in Violence” e (soprattutto) “Bonded by Blood” ci
terminano definitivamente, e finiscono uno show stracolmo di energia e
assolutamente soddisfacente. Thrash Till Death!
Dobbiamo ammettere
tutto il nostro stupore davanti all’affluenza “record” allo Sweden Stage per
uno dei nomi più chiacchierati della scena Alternative, ma sicuramente tra i
meno conosciuti del Festival. Se in Italia, nel suo recente tour, c’eravamo
accorti che DANKO JONES sta diventando nome ben conosciuto, mai ci
saremmo aspettati di trovarci la collinetta straboccante da migliaia e
migliaia di persone, già alcuni minuti prima del concerto. Il terzetto di
Toronto pur “perdendosi” nell’enormità dello Sweden Stage, è una vera furia
e si dimostra una perfetta macchina da palcoscenico. D’altra parte i nostri
passano quasi interamente il loro tempo in lunghi tour mondiali ad aprire
per band importanti (Guns n’Roses, Motorhead, Faith No More) e ad esibirsi
in festival prestigiosi (Rock Am Ring, Hellfest, Wacken e Pinkpop, per
citarne alcuni). Se qualcuno si era già lamentato dei troppi discorsi di
Tobi Sammet il giorno d’apertura del Festival, ancora non conosceva i lunghi
monologhi del canadese (che d’altra parte, ha pubblicato un spoken-word
album, ‘The Magical World Of Rock’ interamente senza musica…). Soventi i
suoi lunghi intermezzi con il pubblico, divertentissimo quello che precede
la grandissima “First Date”, dedicata ovviamente alle (tante) ragazze
presenti. Sudatissimo, mise nera, capello rasato, bracciali e polsini à la
James Hetfield, Danko Jones dimostra di essere un rocker di quelli veri, fa
cantare a squarciagola, pogare, sudare e uscire dai suoi concerti
completamente stremati e soddisfatti per lo show. Da rivedere al più presto!
Il continuo
accavallarsi di eventi ci porta a quasi snobbare i SAINT VITUS, uno
dei nomi che non è facile vedere in giro così spesso. Si presentano oggi in
buona forma e sicuramente meritavano ben altro spazio.
Peccato!
A sentire le polemiche
(a piena ragione?) scaturite dalla scelta dei Soundgarden quali headliners
di questa prima vera giornata di Festival, un'idea alternativa, almeno sulla
carta, noi ce l'avevamo avuta, con uno dei nomi più attesi e più noti
dell'intero festival: i NIGHT RANGER. Ed invece ci ritroviamo la
famosa superband americana, sotto una timida pioggerellina, alle quattro e
mezza del pomeriggio, orario valido solo per una partita di calcio... Il
Main Stage (ricordiamoci qui siamo in Svezia, terra di gran cultori e
conoscitori musicali) è comunque letteralmente preso d'assalto da varie
generazioni di fans: dai teenagers, alle famiglie al completo, a quelli più
avanti nell'età (e nell'alcool...). Pur conoscendoli bene, non ci saremmo
mai aspettati un concerto “live” così convincente! Guidati da un Jack Blades
particolarmente in forma e sprizzante carica da tutti i pori. "Lay It On Me"
apre alla grande un set infarcito di cover legate sempre alla “storiografia”
del leader e del vocalist della band. Pietre miliari targate Damn Yankees,
quali "Coming Of Age" e "High Enough" cantate ed eseguite in maniera
esemplare, così come la sorprendente "Crazy Train" di Ozzy, (band nella
quale militò il bassista Brad Gillis). Altri autentici tuffi nel passato
come in " The Secret of My Success" (ricordate il film di Michael J.Fox?!)
ma anche pezzi più moderni, con alcuni estratti del loro eccellente ritorno
discografico “Somewhere in California”. Il pubblico in adorazione, circonda
d'affetto l'enorme palco che a stento riesce a contenere la carica degli
americani, la loro grandissima energia, i loro cori “catchy” eseguiti in
maniera esemplare da tutto il quintetto, le loro straordinarie melodie.
Subito dopo la sempre sognante ”When You Close Your Eyes“, sale sul palco
pure il grande Dee Snider dei Twisted Sister, invitato a cantare, in qualità
di special guest "(You Can Still) Rock in America". E noi che avremmo avuto
bisogno di una pausa... I grandi classici, come le finali "Sister Christian"
e "Don't Tell Me You Love Me" chiudono uno spettacolo assolutamente
devastante, che non ha lasciato dubbi: c'è ancora parecchia voglia di tenere
alto il nome dei Night Ranger anche in questo nuovo millennio! Alla fine di
questi novanta minuti di goduria pura, ci rimane un solo quesito: cosa si
saranno bevuti gli organizzatori nel pianificare il bill odierno??!?
Ogni anno lo Sweden ci
riserva e ci regala delle sorprese, nomi a noi ancora poco noti, quasi
sempre provenienti dalla Svezia. Stavolta il pacco dono confezionato con la
carta SRF arriva dalla lontana America. I RIVAL SONS sono un nome
parecchio chiacchierato negli ambienti undergorund, abbiamo consumato il
loro videoclip “Pressure And Time” ancor prima di partire per l'Italia. La
curiosità di poter assaporare da vicinissimo (è risaputo che qui, a parte
gli headliners, TUTTI i concerti, soprattutto quelli pomeridiani e nei
palchi “minori” te li puoi godere tranquillamente dalle prime file...) una
delle nuove rivelazioni musicali mondiali è veramente altissima. Sono in
attività da soli tre anni, sin da quel “Before The Fire” interamente
autoprodotto che si trova solo via internet, il loro secondo album “Pressure
And Time”, è stato scritto, registrato e mixato in soli 20 giorni, a fine
estate uscirà il loro nuovo “Head Down”. Anche se parlare di “nuovo” con la
band californiana, appare parecchio paradossale. Il vocalist Jaj Buchanan,
almeno nel look, sembra la reincarnazione di jim Morrison, braghe a zampa,
occhiali da sole, pochissime chiacchiere, scarse le pause tra una canzone e
l'altra (che nemmeno qui dal vivo vengono allungate oltre ai classici 4-5
minuti di durata). Il “carneade” chitarrista Scott Holiday ci regala
pennellate di hard rock passionale intrise di sonorità bluseggianti, pochi
fronzoli, tutta sostanza. Anche il batterista Mike Miley si adatta
perfettamente alle “regole della band”, drumkit essenziale e minimale,
prende a mazzate i tom ed il rullante e contribuisce anche lui a farci
capire quanto i Rival Sons siano veri e credibili! Non c'è niente di
artefatto o forzato nella loro celebrazione di quei mitici anni '70, di
quelle sonorità provenienti da un altro tempo, soprattutto a giudicare
dall'energia, e da quella stessa passione con la quale i quattro di Los
Angeles ci deliziano questo pomeriggio (ma è un caso?!?!?) allo Zeppelin
Stage. Veniamo rapiti per sessanta minuti (poooochi!!!), trasportati dalla
macchina del tempo in un ambiente psichedelico e hippie ricco di sonorità
care a band quali Free, Yardbirds, Zeppelin, Humble Pie. Suona tutto così
vintage ed allo stesso tempo attuale e maledettamente trascinante!Se
sapranno mantenere tutta questa loro “freschezza” in un genere molto
“vintage” ma ancora molto attuale (per fortuna!) siamo sicuri che ce li
rivedremo allo Sweden tra pochi anni, sicuramente in posizioni molto più
alte nel bill. Che i Rival Sons siano riusciti ad infrangere le barriere del
tempo, regalandoci la netta sensazione che esista una specie di
“reincarnazione musicale”?? Una cosa è sicura, da domani non potremo più vivere senza di loro! Grazie Sweden Rock!
Altro nome valido per
fare gli headliners questa sera? Gli STEEL PANTHER, ovviamente! Se a
prima vista potrebbe risultare una sparata giornalistica, ci sono un paio di
ragioni più che valide ad avvalorare questa candidatura. Gli americani sono
sulla rampa di lancio già da un paio di anni ed in costante ascesa in fatto
di popolarità e vendite. Il loro 80's glam rock/hair metal è il genere che
va per la maggiore nel paese gialloblù, la versione moderna e divertente dei
Mötley Crüe (giusto per scomodare un altro nome da headliner) non può che
richiamare le masse; il loro secondo album, "Balls Out", li ha proiettati e
consacrati a livelli, fino a pochi anni orsono, impensabili. Ed infatti il
loro ritorno al Festival, dopo appena due anni, è accolto da un pienone e da
un'esaltazione collettiva che (senza far polemiche...) i Soundgarden solo si
sogneranno... L'arena del Rock Stage è per la prima volta piena zeppa quando
Michael Starr ed I suoi “Masters of humor” calano sul palco con I loro
spandex, gli hairspray, gli specchi per il trucco (Lexxi Foxxx) e tutto il
resto che serve ad inscenare il solito mix iper-divertente e spensierato di
musica e gag misogene che tanta presa hanno sul pubblico (soprattutto quello
femminile!). Quest'anno, oltre al debut “Feel the Steel” hanno materiale
fresco da proporre, per cui con più canzoni a disposizione, c'è parecchio
più spazio “serio” dedicato alla loro musica, dando più ritmo
all'esibizione. Sarà pur musica “leggera” dai testi “poco impegnati” ma il
loro prodotto piace ai più (noi compresi), e Michael si dimostra ancora una
volta un gran cantante: sul palco non son certo saliti solo per fare I
buffoni! I top della serata: la ballatona “Community Property“ (vi
consigliamo sempre la visione del video-clip versione “uncensored” ovviamente!), lo striptease collettivo di una dozzina di belle ragazze
invitate sul palco (ma c'era la fila per salire?!?!) durante "Party All Day (Fuck All Night)", ed il fantastico inno finale
“Death to All but Metal”. Per noi I Panteroni son diventati come I
Twisted Sister, I Motorhead, o i Saxon...dovrebbero suonare ad ogni
festival!
La “Giornata del
Dolore” (menzionando le numerose concomitanze di questo fantastico Giovedi),
continua con un'altra gravosa scelta da farsi. Steel Panther o SEPULTURA?
Per carità, due generi e due storie artistiche completamente differenti, ma,
in effetti, la stragrande maggioranza della nostra truppa avrebbe desiderato
godersi entrambe le esibizioni. Il pubblico sotto allo Sweden Stage non è
poi così numeroso quando, poco dopo le sei, è il turno dei brasiliani.
Purtroppo son lontani i fasti dei tempi della premiata ditta Cavalera,
quando ancora beghe e legali e baruffe in famiglia non avevano mandato in
rovina la band brasiliana più famosa del mondo. Alla chitarra c’è ancora un
certo Andreas Kisser, che ha scritto pure lui pezzi e pagine importanti
della loro storia. L’americano Derrick Green è oramai una certezza dietro al
microfono, pur non avendone lo stesso carisma di Max (dedicatosi ai Soulfly),
ha una presenza importante, e non solo per la sua imponente stazza fisica.
Per fortuna resistono ancora i loro brutali inni del passato “Refuse/Resist”,
"Arise", "Territory" e “Policia”. Nemmeno paragonabili gli estratti più
recenti (“Kairos” la loro ultima fatica). I verde-oro di Belo Horizonte ci
lasciano con due encore: l'ode tribale alle percussioni “Ratamahatta” e la
sempre terremotante "Roots Bloody Roots" il loro compito di incendiare
l'animo dei presenti è stato sicuramente raggiunto!
Che giornata
magnifica! (nessun riferimento alle condizioni atmosferiche, per carità).
Come se non bastasse, il programma di questo pomeriggio svedese che già ci
ha offerto materiale in abbondanza (in qualità ed in quantità) ci dà la
possibilità di assistere ad un altro show molto atteso, anche perché il
primo per tutti noi che non abbiamo mai visto da vicino i GRAVEYARD!
Anche se dobbiamo soffrire della solita concomitanza (sul main stage c'è lo
show dei Mastodon), abbiamo comunque optato di seguire ciò che in
contemporanea accade sullo Zeppelin Stage, e di seguire una band parecchio
chiacchierata di questi tempi. Noi amanti di quelle new sensation band quali
Wolfmother, The Answer, o Silvertide, giusto per fare qualche nome
assonante, fautori di quel retro rock odierno, che ci fa ben sperare in un
possibile ritorno di quelle sonorità “vintage” mai dimenticate, siamo
proprio curiosi di vedere di che pasta son fatti gli svedesi di Gotheborg!
Il quartetto scandinavo è in forte crescita, due album alle spalle ed un
terzo in arrivo in autunno, qui in Svezia son già parecchio conosciuti,
visto che la collina di fronte allo Zeppelin la troviamo già bella piena
quando attaccano con due estratti dal loro omonimo debut album di quattro
anni fa. Lo show è quasi interamente “dedicato” al quel“Hisingen Blues”
uscito lo scorso anno, che li ha resi celebri (a pieno merito!) al di fuori
della penisola scandinava. Il loro sound è Seventies fino al midollo, il
look non potrebbe che seguirne fedelmente i dettami: bragoni a zampa,
capelli lunghi, vestiti hippie, mustaccioni a manubrio. Vale lo stesso
discorso fatto per i Rival Sons (anche se il genere è leggermente diverso).
C'è molta genuinità nel loro set bollente, il cantante Joakim Nilsson ci
conduce per mano in un concerto di altri tempi, in mezzo ai marshall vintage
che invadono il palco. Veniamo rapiti dall'incredibile abilità del
batterista Axel Sjöberg che ci regala numeri seppure la sua batteria sia
composta solamente dagli elementi essenziali. Speriamo che il loro prossimo
lavoro sia l'ennesimo passo in avanti di un genere musicale e di una band
che, dopo lo spettacolo odierno, merita tutte le nostre attenzioni, intanto
noi andiamo a farci crescere i baffoni!
Il pubblico svedese
risponde alla grande riempiendo all'inverosimile l'arena di fronte al Rock
Stage (l'abbiamo già detto qual'è il genere musicale preferito qui, no?) per
il set di SEBASTIAN BACH. Ma con l'ex leader degli Skid Row siamo
alle solite... Indovinate un po' quali sono stati i momenti migliori di un
set diviso tra materiale nuovo, quello tratto dalla sua carriera solista ed
i vecchi classici targati Skid Row? Dubbi, se mai ce ne fossero stati, già
dissipati con la prima, prorompente song d'apertura: "Slave to the Grind",
un autentico calcio diretto nei nostri reni. Il bel Bach è il solito animale
da palcoscenico, dimostra nel look e nelle evoluzioni fisiche metà di
quell'età anagrafica che invece (tocca pure a lui!) si porta dietro. Non sta
fermo un attimo, corre, salta e si arrampica su qualsiasi sporgenza del
palco, fa roteare paurosamente a 360° il cavo del suo microfono, caccia
delle urla paurose. Appare pure dimagrito, sorridente, e, fortunatamente,
questa sera, non si dedicherà a polemizzare contro I suoi ex che non lo
vogliono più negli Skid Row e non cercherà di far a botte con qualcuno
dell’audience... Ma non tutto risulta perfetto. Il problema grosso è quando
il cantante americano sfodera i più recenti lavori da solista, l'attenzione
dei presenti va via via scemando, effetto inversamente proporzionale alle
grida ed alle urla che è costretto a lanciare nella sua più moderna carriera
da “screamer”. Cosa che gli fa perdere consensi, qualità del set, e voce
(almeno nelle tonalità più alte). E' innegabile che gli SkidRow abbiano
fatto dei grandi dischi e quanto le loro canzoni si adattino alla perfezione
ai Live. "Monkey Business", "I Remember You", "18 and Life" regalano, a
distanza di qualche decade ancora emozioni a crepapelle, soprattutto quando
a cantarne I cori ci si mettono i diecimila e più di un’ audience
completamente in estasi! Nonostante Seb si alterni tra lunghi monologhi e
qualche stecca, soprattutto durante le “sue” canzoni, lo show l'entusiasmo
del vocalist contagia la folla, in uno dei concerti meglio riusciti in
questa giornata. Anche perché nel finale, sale sul palco Sua Maestà Dee
Snider, che improvvisa un duetto incendiario con il bel Sebastian
(potrebbero fare I testimonial per una ditta di shampoo e balsami...) Non
sapremmo scegliere quali dei due inni meglio rappresenti la nostra
generazione e la riuscita di questa jam session finale: “We're Not Gonna
Take It” e “Youth Gone Wild”: la gente (noi compresi) impazzisce per
davvero!
Come già ampiamente
scritto nei nostri report precedenti, la nomina dei SOUNDGARDEN non
solo a partecipare al Rock Festival ma anche addirittura a farlo nell'ambita
posizione di headliners aveva creato parecchie discussioni in merito. Da una
parte chi appoggiava l'idea degli organizzatori di "svecchiare" un po' il
classico elenco di headliners che da anni si alternano sul main stage,
prediligendo la band di Chris Cornell, riformatasi da pochi anni e che a
fine degli anni '90 faceva parte dei “Big Four” con Alice in Chains, Nirvana
e Pearl Jam. Dall'altra tutti quelli che avevano storto il naso, per usare
un eufemismo, contro i Soundgarden, facenti parte di un momento storico non
proprio roseo musicalmente parlando, anzi fautori di un genere, il grunge,
quell'uragano voluto dal business che da Seattle, in pochi anni distrusse
tutti i movimenti più a Sud, nella California: hard rock, hair metal, glam,
street, ecc... Gratificarli pure con lo scettro di Headliners? Sembrava
proprio dura da digerire. Chi ci aveva visto bene? Alla prova “Live” l'ardua
sentenza. L'inizio è molto promettente. Il palco è illuminato a giorno,
proiettori, megaschermi, filmati, luci faraoniche. Dobbiamo ammettere che è
la prima volta che vediamo questo stage principale sfruttato a dovere (forse
solo Motley Crue e In Flames allo stesso livello) da un headliners del
Festival. Chris Cornell appare stupendo, nel fisico, nel look piuttosto
semplice, con quella faccina d'angelo. Stentiamo a capire cosa ci faceva lui
tra i rappresentanti dei “tristi e decadenti”. Anche la sua voce è sempre
perfetta, anche in quegli acuti e nelle parti più alte e difficili, ma anche
nelle parti più soft e calde di canzoni quali “Black Hole Sun” o “Fell On
Black Days” (la migliore del set!) per citarne alcune. Appare scontato che i
migliori estratti siano proprio quelli più datati, (e ce ne saranno
parecchi), “Flower", "Rusty Cage", "Loud Love","Jesus Christ Pose". Ma già
dall'esecuzione della fantastica “Spoonman” qui velocizzata e cambiata
(malamente!), ci accorgiamo che qualcosa manca sul palco: l'energia che ci
si poteva attendere da una band del genere, un qualche sorriso, una maggior
interazione con l'audience. A man mano che scorrono le canzoni, ci sembrano
un po' tutte monotone, quasi noiose (qualcuno di noi ha rischiato il colpo
di sonno!). Sarà forse anche per la lunghissima e positivissima giornata e
per la stanchezza accumulata, unita al classico venticello gelido dell'una
di notte; ma per la prima volta nei nostri lunghi anni di militanza allo
Sweden (sette di fila, oramai) decidiamo, clamorosamente, di abbandonare
l'area del Festival in largo anticipo! Ed è allora che ci rendiamo conto che
non siamo gli unici a pensarla così, visto che l'area è praticamente
semi-deserta, raramente ci è capitato d trovare un Festival Stage così sgombro, immaginarsi durante l'esecuzione degli headliners (o presunti tali,
in questo caso) che dovrebbe rappresentare l'apice artistico della
manifestazione. Shame on You Sweden Rock!
Ma per fortuna domani
ci attende un'altra giornata...e che giornata!!
(2/4
continua...)
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