Recensioni: Where The Sun Comes Down "Ten Years Like in a Magic Dream"
Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea
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GIOVEDI' 6 GIUGNO, IL GIORNO DEI KISS! Prima giornata di festival intera e… che giornata! Tanto che quando ci mettiamo in strada per raggiungere Norje ci imbattiamo in un ingorgo in pieno stile Milano-ora di punta –colpa della giornata di festa, del tempo perfetto e finalmente estivo, o del fenomeno Kiss?!- per le strette stradine della piccolissima cittadina a bordo festival, causa anche della chiusura della strada principale in direzione SRF che ci impone quindi una lenta gimcana fino a raggiungere l'agognato parcheggio. Forse nemmeno i fans di Maiden, Abba ed Europe messi assieme possono eguagliare la fama che Gene Simmons e compagni godono qui nel bel paese scandinavo. Già da ieri, inizio del Festival, l'assoluta maggioranza di magliette (ma pure i tatuaggi… qui non esiste persona che non abbia timbrato il proprio corpo? Soprattutto con copertine e moniker di band heavy metal?!) era dedita al quartetto di Detroit. Immaginarsi nella giornata che li vedrà protagonisti da headliners. TUTTI son qui per loro, dai bambini (sono convinto che negli asili insegnino, assieme alle canzoni tradizionali, qualche hit song dei Kiss) alle intere famiglie ai vecchi fans più attempati che indossano magliette sbiadite che ricordano tour degli anni '70… tutti indossano qualcosa inneggiante ai Kiss. C'è pure un piccolo stand, dove due truccatrici per qualche centinaio di corone svedesi vi trasformano il viso in imitazioni di Gene Simmons o Paul Stanley. Abbiamo pure la sensazione che ci sia il record (anche se nel sito degli organizzatori non c'è traccia di comunicati con i numeri dei biglietti venduti) assoluto di presenze. In tanti anni di militanza non abbiamo mai visto tanta gente sia all'interno dell'area sia all'esterno, dove impazzano i soliti fornitissimi stand che farebbero la felicità di ogni metallaro. Ci siamo nel frattempo persi l'apertura di MIA KLOSE e l'inno nazionale cantato dai RAUBITIER –già oggi è il 6 Giugno, festa nazionale molto sentita qui in Svezia e quando capita in una giornata di festival gli organizzatori fanno in modo che l'inno non manchi. I più fortunati di noi riescono a malapena ad entrare in pista appena in tempo per sentire le primissime note di "Night Of The Demon", non farete fatica a capire che stiamo parlando dei DEMON, che aprono la giornata sullo Sweden Stage, e provvidenziale fu il nuovo ingresso "VIP" proprio a lato di questo palco! Li avevamo già visti qui all'opera nel 2009 più o meno a questa stessa ora, ma, da quel che ci ricordiamo Dave Hill e compagni si erano esibiti davanti a poche centinaia di adepti, e su di un palco più piccolo. Stamattina invece c'è già un certo affollamento e sotto uno splendido sole la già citata "Night Of The Demon", " Sign Of A Madman", "The Plague" e l'immancabile " Don't Break The Circle" ovviamente fatta cantare all'unisono e lungamente ai presenti, poco prima della finale e travolgente "Blackheath" ci riportano una band in grande forma e un set di grande spessore, seppur avremmo preferito vederli fra le tenebre anziché abbagliati dal sole, ma tant'è, la nostra giornata è già cominciata alla grande.
Prima esibizione sul main stage, tocca ai finlandesi SONATA ARCTICA il primo slot sul palco più grande del festival dove già capeggia inquietante e minaccioso sopra le loro teste il "ragno" disegnato e progettato da Paul Stanley. Fa poi un certo effetto vedere una band finnica abituata a neve e ghiacci esibirsi sotto il caldo solleone di uno dei pomeriggi svedesi più caldi in assoluto a nostra memoria. Dobbiamo anche dire che, su questo enorme palco loro sembrano formichine, visto anche il loro scarsissimo bagaglio di coreografie -occupano a malapena metà spazio- per cui il compito di scaldare l'animo dei presenti di fronte a questa grandissima radura è difficile. L'inizio effettivamente è un po' freddino, poi qualcosa si muove con Kakko che scherza sul rapporto fra finlandesi e svedesi e ci ricorda sempre più il grande Tobias Sammet. Qualche emozione comunque scatta sulla grande "Losing My Insanity", la ballatona "Replica" e poco altro per uno show tutto sommato sovradimensionato per la reale portata della band.
Sull'altro lato dell'area nel frattempo troviamo un nome poco conosciuto ma di ben altro impatto sui presenti. Dobbiamo ammettere che la cosa più interessante della presentazione di MICHAEL KATON era il fatto che provenisse da una strana cittadina vicino a Detroit che si chiama Hell (!!), ma alla fine tanto è bastato per condurci sotto al piccolo 4 Sounds Stage, assediato da un pubblico abbondante e variegato, dotarmi di una birra e godermi lo show del bluesman americano. E che finisce per rapire chi scrive per l'intera durata: un blues rock'n'roll bello tirato e ben coadiuvato dalla voce roca e sporca di Michael. Insomma al di là di pezzi molto semplici, sporchi e impolverati, ci rimane il ricordo di un'esibizione gradevole e divertente, tutto ciò che serve per tenerci incollati a questo palco, senza fare gran caso a virtuosismi o originalità al 100%. Semplicemente rock'n'roll come dio comanda!
Se ora ci perdiamo quasi del tutto i MORGANA LEFAY, causa accavallamenti vari, sul piccolo palco Rockklassiker troviamo tempo anche per dare un'occhiata agli sconosciuti DAYS OF JUPITER, definiti dal programma come melodic hard rock band, sfoderano invece una bella prestazione energica per un genere che una ventina d'anni fa avremmo forse definito più vicino al thrash, ma si sa i tempi sono cambiati... comunque da tenere d'occhio, hanno anche già pianificato un nuovo, secondo, album per l'anno prossimo! Se ieri c'erano stati gli Sweet, oggi, a far partire la macchina del tempo, altra grande chicca del festival e pezzo di storia, arriva verso le tre sul Rock Stage, quando i SURVIVOR salgono in cattedra, accolti da un numero elevatissimo di fans, tanto da rendere difficile risalire la corrente e raggiungere le prime file, anche qui dove è stato sempre un gioco da ragazzi. Ad elevare l'attesa, già alta poiché pare fosse la prima volta degli americani da queste parti, anche l'annunciata presenza di Jimi Jamison al fianco di Dave Bickler al microfono, entrambi sul palco insieme durante tutto il concerto e più volte presi in duetti vocali sicuramente di grande impatto, anche se il duetto principale è quello costante, dall'inizio alla fine, con il pubblico che canta TUTTE le canzoni! E anche se il secondo è chiaramente messo in ombra, almeno come presenza, da Jamison. Come non unirsi alla folla svedese e cantare a squarciagola quando sul palco passano le varie "High On You", " Burning Heart" o "I Can't Hold Back"?! Ci voleva proprio un'oretta abbondante di tonalità più rilassanti e vicine al Pop /Rock n Roll e la straconosciuta "Eye Of The Tiger" arriva infine a corollario del loro convincente e divertente set.
Attirati più che altro dall'immagine della cantante e leader della band, autoproclamatasi strega bianca, Jill Janus, eccoci sotto al 4Sounds stage per seguire uno dei nomi nuovi della scena metal mondiale, gli statunitensi HUNTRESS. Al di là della teatralità e della voce potente della bionda Jill, dobbiamo però annotare che il genere proposto, che mescola elementi classici (pochi) e thrash a sonorità moderne (tante) non è così coinvolgente, ma se cadiamo immediatamente nell'incantesimo della bella White Witch, che al di là di un fisico da modella ci assale con urla demoniache inquietanti e paurose, dall'altro lato la band, che pur lavorando nella penombra di una frontwoman ingombrante, ci sa fare, è però un po' troppo statica pur se il risultato sonoro sia potente, manca un po' di energia di fondo. I pezzi estratti dal loro debut "Spell Eater" non danno grandi scossoni almeno fino al gran finale dove le varie "Oracle", "I Want To Fuck You To Death" e "Eight Of Swords", momenti finalmente convincenti, salvano un po' il loro set.
Ben altro clima si respira nell'arena principale, dove torna RICK SPRINGFIELD. E lo fa di nuovo sul main stage a tre anni dalla precedente occasione, sinonimo d'importanza: certo forse è ben più noto –soprattutto fra il pubblico femminile- come il dottor Noah Drake nella soap opera "General Hospital", ma comunque merita sicuramente la posizione vista anche la lunga carriera. Certo la sensazione è quella di aver di fronte un "Bruce Springsteen" d'Australia", il carisma e la carica sprigionata sul palco da Rick è notevole, ma il sound è un po' "leggerino" e "rilassato" per farci rimanere così a lungo sotto a questo palco. Certo quando chiude con l'immancabile hit "Jessie's Girl", qualche movimento in più c'è ma.. Piacevole ma nulla di cui ricordaci per gli anni a venire! Tornano allo Sweden Rock dopo diversi anni dall'ultima occasione e dodici dopo il loro primo grande concerto proprio da queste parti. E lo fanno per festeggiare i loro quindici anni di attività: sono i BACKDRAFT, band che si è ritagliata un certo seguito in patria, senza però mai uscire più di tanto dai patri confini, vero e propria band di culto dedita a un southern rock settantiano, con una vibe oggi più stoner del passato, che però deve scontrarsi con un'ora non proprio ottimale, vista la concomitanza con gli Status Quo, ma porta comunque un buon seguito. Questo show porta sul palco ben tre chitarristi, quelli originari della band, per una volta e probabilmente solo per questa volta, sicuramente per l'ultima data con uno dei fondatori, il chitarrista Robert. E non delude le attese con un set tirato e che fa scuotere a dovere i presenti sulla collina del 4Sounds, condendo il tutto con la buona cover di "Blue Sky" degli Allman Brothers Band. Peccato non vederli più spesso calcare un palco, motivo in più per seguirli fino in fondo in questo tardo pomeriggio, ma pare che questa giornata sia stata immortalata in un DVD, in uscita prossimamente.
Se con i Survivor oggi c'era stato un tuffo nel passato, ora, verso le sei di sera, la macchina del tempo ci porta ancora più indietro, incontrando uno dei nomi leggendari della scena rock: gli STATUS QUO. Quarantacinque anni di carriera, un numero spropositato di album e ancor più hit disseminate, lo scettro d'inventori dell'headbanging: impossibile non trovarsi a cantare a squarciagola e ballare quando si passa per le varie "Caroline", "Paper Plane", un medley cominciato da "What You're Proposing", passato per "Wild Side Of Life" e terminato con una potente "Big Fat Mama", le varie "Roll Over Lay Down", "Whatever You Want" o "Rockin' All Over The World". Gli ultra-sessantenni Francis Rossi e Rick Parfitt sono ancora lì a guidare il combo inglese, che con l'ultimo disco di due anni orsono, "Quid Pro Quo" aveva dimostrato di saperci ancora fare alla grande. Oggi ancor più in sede live, coinvolgendo la folla svedese, solitamente molto composta, con il loro boogie rock che porta a ballare gli oltre diecimila presenti quasi all'unisono sulle tante hit song sparate in sequenza. Divertimento assicurato per tutta l'ora e mezza scarsa a disposizione!
Sul lato dello Sweden Stage intanto si sta tenendo lo show dei DEVIN TOWNSEND PROJECT, creazione dell'estro del musicista canadese, noto per i suoi trascorsi negli Strapping Young Lad, che però oggi non entreranno per nulla in scaletta: tutta la band, in divisa (simile a quella di un giocatore di hockey ovviamente essendo canadesi) gira attorno a lui che delizia i presenti con ironia ed espressioni intrattenibili, che ci riportano uno showman consumato che intrattiene un pubblico non numerosissimo ma partecipe, intrattenuto forse fin troppo anche a parole, fra un pezzo e l'altro dal one man show nordamericano, che in questo suo progetto, come lecito aspettarsi mischia diversi elementi, fusi in un prog abbastanza complesso, ma alla fine è l'attitudine sul palco a colpire di più in quello scorcio che riusciamo a vedere.
In mezzo a tanto ben di dio musicale, qualcuno ha anche il tempo di fare un salto sotto il piccolo Rockklassiker Stage, dove oggi si esibiscono le band vincitrici del contest di Nemis, associazione che porta allo Sweden da alcuni anni delle band emergenti. Noi seguiamo le IMBER, band di Stoccolma con alle spalle un solo EP, e sicuramente da annoverare fra i nomi da tenere in assoluta considerazione tra le nuove rivelazioni. Ci colpiscono dapprima con riff orecchiabili e con un ottimo impatto scivolando poi via verso urlacci growl e sonorità quasi industrial, e sicuramente si fanno notare per i corpi tatuatissimi. Ragazzacce da tenere d'occhio! Tocca ora ai FIVE FINGER DEATH PUNCH salire sul palco principale. Dobbiamo dire che solitamente, salvo qualche raro caso, questo palco è stato riservato a nomi storici e meno "moderni", ma probabilmente l'importanza di questi californiani è salita a dismisura negli ultimi anni, pur se per noi siano un po' troppo alternativi e "moderni" appunto. Guidati da un esplosivo frontman, il cantante Ivan Moody, che facilmente può essere accostato a un Phil Anselmo, visto su questo stesso palco un paio d'anni orsono, per movenze e modo di esprimersi e cantare. Il pubblico svedese è costantemente stimolato a formare moshpits, non molto tollerati dalla sicurezza da queste parti, ma in fondo risultano un po' noiosi e scontati, facendoci virare velocemente verso altri lidi.
Ben altra aria si respira, infatti, sotto il piccolo 4Sound quando ci spostiamo idealmente in Kansas per i ben più classici MANILLA ROAD. La storica band americana è garanzia di passare una buona ora, in compagnia di ottimo Heavy Metal a stelle e strisce, dalle tinte epiche, e pur essendo un nome più di culto che conosciuto alle grandi masse, il pubblico risponde abbastanza numeroso quando si parte in quinta con l'apertura di "Masque Of The Red Death". E' un piacere essere guidati dalla precisa ascia e ugola di Mark "The Shark" Shelton che tira con sé la band e i presenti fino alla chiusura sulle note di "Flaming Metal Systems", ben coadiuvata nell'alternanza vocale con l'attuale cantante Bryan Patrick. Come spesso accade allo Sweden Rock, dobbiamo ammettere che il detto "gallina vecchia fa buon brodo" è sempre attuale!
Mentre sul Rock Stage imperversa il grande show degli AMON AMARTH, che per l'occasione hanno allestito una scenografia vichinga con tanto di nave e comparse, per la gioia degli amanti delle sonorità più estreme, sull'altro lato dell'area sul più piccolo Sweden, troviamo un altro appuntamento con il rock classico, grazie ai THUNDER. Una piccola sorpresa anche per chi non li aveva mai più di tanto preso in considerazione, ipermelodici se vogliamo ma capaci di produrre uno show clamoroso, al di là di quanto qualcuno aveva già visto in un caldissimo pomeriggio nel lontano 2007, la loro precedente discesa qui sui prati di Norje. Trascinati da un Bowes in grande forma vocale -nonostante gli anni si facciano vedere sul fisico- allietano i tanti accorsi sotto al loro palco fin dall'iniziale "Dirty Love", sciorinando gran parte della discografia della band che attraversa una ventina d'anni ma che ha ancora come inevitabili picchi gli estratti dei primissimi lavori, "Love Walked In" e "Higher Ground" su tutti. E' un piacere vedere anche il mitico testone pelato di Gary "Harry" James alla batteria, in questa grande prestazione che va a scaldare la notte che nel frattempo è scesa, di certo sbagliano coloro che troppo frettolosamente si erano trasferiti in cerca di un buon posto nell'arena centrale sotto al main stage.
Dopo una giornata di lunghissima attesa, a "perdere" tempo sotto i vari palchi minori, farsi truccare, farsi fotografare truccati, oziare sulle sedie portatili in compagnia di tante birre, è arrivato Il Momento, anticipato di mezz'ora rispetto alle canoniche undici e trenta, quello dei KISS!! L'arena di fronte al palco principale è affollata all'inverosimile, tanto che raggiungere la photo pit diventa una corsa ad ostacoli mentre le lancette scorrono velocemente verso l'ora prestabilita. Col fiatone siamo sotto il palco, e ora la curiosità principale è per il "ragno", elemento cardine della scenografia dello spettacolo, che ha come corpo una piattaforma mobile e che serve a Gene, Paul e Tommy per fare il loro ingresso in scena, sulle note di "Psycho Circus" (Eric Singer e la sua batteria sono su una piattaforma più indietro). La discesa in campo delle quattro divinità, osannate da fiumi di persone, di più generazioni, dai bisnonni ai neonati, è accolta con un boato e non parliamo solo dei fuochi d'artificio. Si va avanti così per quasi due ore, per uno show che, dal punto di vista dei brani suonati, non lascia spazio a moltissime sorprese, ma che dal punto di vista scenografico è una gioia sotto tutti i punti di vista. La "vecchia guardia" è tenuta maggiormente sotto osservazione, ma anche Paul Stanley -di cui si vociferava fra gli amici svedesi la poca voce nella recente data allo stadio di Stoccolma- regge bene il gioco e accusa solo in qualche occasione un calo vocale, mentre Gene Simmons non sembra avere problemi particolari, e anzi regala un paio delle sue solite frasi ruffiane che naturalmente mandano il pubblico in visibilio. Non manca nulla: il volo di Paul sulla folla per arrivare al piccolo palco su cui esegue "Love Gun", il sangue finto che esce dalla bocca di Gene prima di "God Of Thunder", e anche gli intervalli (chiaramente usati per rifiatare) affidati a Eric e Tommy, con relativa jam, hanno il loro fascino. Tutto questo perché sarebbe impossibile immaginare i Kiss senza il loro contorno da luna park, indipendentemente dal fatto che si suonino brani dall'ultimo "Monster" o i grandi classici che si sentono ogni volta. È comunque una grande festa per grandi e piccini, e come tale va vissuta, qui ancor di più giacché giocano praticamente nel giardino di casa. Inutile perdersi in disquisizioni sulla prestazione canora di questo o quell'altro, sulla scaletta, sugli assoli, lo show nel suo complesso ha alla fine accontentato i presenti (compresi gli organizzatori che tantisssime corone hanno puntato su di loro, ripagate dal probabile supersoldout odierno!), in questo i Kiss sono sicuramente ancora i migliori al mondo! (2/4 continua)
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