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Recensione: Astaroth "The End Of Silence"

Astaroth "The End Of Silence"

(She Wolf Records)

Per Chi Ascolta: Heavy metal al 100%

A volte ritornano. E’ proprio il caso di dirlo quando si parla degli Astaroth. Leggendari, mai aggettivo fu più appropriato, pionieri italiani degli ‘80s. Attivi dal 1982 ed autori nel 1985 di un EP su Rave On Records (per chi ha la memoria corta: la label che lanciò i Mercyful Fate). Tra i primi a tentare l’avventura negli States e, purtroppo, tra i tanti a scomparire, perdendosi in un immeritato oblio che “The End Of Silence” finalmente squarcia. “My Sleeping Beuty” apre le ostilità, sfoderando una bordata heavy-dark all’ennesima potenza, sorta di salto all’indietro nella NWOBHM, magistralmente attualizzata nei suoni. Che i Nostri abbiano tutte le carte in regola per recitare un ruolo da protagonisti nel 2012 è ribadito da “Dilemma”: eretta intorno alla teatrale interpretazione di Ace Alexander, degno successore dello storico frontman Bob Cattani, e fulminei breaks, che spingono sull’acceleratore per poi dar respiro ad arte. “Nero’s Fire” riprende le tematiche legate all’antica Roma, purgandole di qualsivoglia pacchianeria, piegandole all’acciaio di una canzone temeraria quanto una legione e valorizzandole attraverso il sulfureo intermezzo arpeggiato, che rimanda al King Diamond dei bei tempi. Fa centro pure “Apocalypse In The Livingroom”, rincorsa a perdifiato che non sarebbe dispiaciuta a certi Crimson Glory, brillante di appeal radiofonico affatto disprezzabile. Ed ulteriori brividi scorrono all’incipit di “The Siren Song”, insospettabile ballata impreziosita dal superbo ritornello in cui gli Astaroth abbassano le luci senza perdere un grammo d’intensità. La reprise di “Dreams Die First”, tratta dallo sfortunato demotape “americano” (“USA ‘88”), indugia sull’aspetto anthemico, mentre “Stand Or Fall Together” rinfocola il pathos giocando ora di fioretto (talune carezzevoli linee vocali), ora di sciabola (le furenti sferzate elettriche). “In Spite Of Destiny” si allinea, macinando rocciose chitarre saldate da letali armonie, parimenti a “Mystic As Tarot”, progressiva senza scadere nel mero tecnicismo, marchiata dai virili vocalizzi di Alexander e dal caldo solismo settantiano firmato Max Cipicchia. L’ipnotico epilogo di “Chainless Slaves”, maestoso quanto le colonne del Colosseo, oscuro quanto la notte prima della battaglia, sigilla un comeback imperdibile. Il missaggio di Michael Tacci, già al soldo di Metallica e Whitesnake, ha infine il pregio di rendere contemporaneo il sound, senza però snaturarlo. E’ pur vero che l’attesa è stata interminabile, tuttavia ne è davvero valsa la pena. Il silenzio è infranto: è giunta l’ora che i legionari romani riconquistino l’impero.


 

Momento D'Estasi: “The Siren Song”, “Mystic As Tarot”, “Chainless Slaves”

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