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Recensione: Timo Tolkki's Avalon "Angels Of The Apocalypse"

Timo Tolkki's Avalon "Angels Of The Apocalypse"

(Frontiers Records)

Per Chi Ascolta: symphonic e melodic power metal

L'ex mastermind e membro fondatore degli Stratovarius Timo Tolkki,accontonati i deludenti progetti Revolution Renaissance e Symfonia,torna con il secondo episodio del suo progetto Avalon ad un anno esatto di distanza dal precedente capitolo "The Land Of The New Hope". Lunga è la lista degli ospiti illustri che si avvicendano dietro al microfono di questo ambizioso progetto.La presenza dell'astro nascente degli Amaranthe Elize Ryd,di Floor Jansen dei Nightwish,di Fabio Lione e Simone Simons degli Epica fino a David DeFeis dei Virgin Steel,inserisce infatti con autorevolezza "Angel Of Apocalypse"sulla scena metal operistica sulla scia di altre importanti realtà come Avantasia e Ayreon.Sempre sul fronte delle collaborazioni Tolkki riesce inoltre a riunire una parte della formazione degli Stratovarius del leggendario"Dreamspace",con Tuomo Lassila alla batteria e Antti Ikonen alle tastiere. "Angel Of The Apocalypse" si presenta molto più sinfonico e magniloquente rispetto al suo predecessore,nonostante il concept musicale prevedesse da principio una direzione più cupa e pesante.Dopo l'intro di prammatica è "Jerusalem Falling" a rappresentare l'aspetto più power metal degli Avalon,con il suo procedere serrato ed incalzante e il cantato aggressivo di Fabio Lione. L'interessante alternanza all'interno dell'album di cantato maschile e femminile e il passaggio pressochè repentino da atmosfere gotiche (l'eterea "High Above Me"e la toccante "You'll Bleed Forever")ad altre dall'influenza rock più marcata(l'orchestrale "Designe The Century",designata come singolo e arricchita dalla superba prova vocale di Floor Jansen e l'energica "Rise Of The 4th Reich),lungi dal distogliere l'attenzione,risultano invece coinvolgenti e rendono l'ascolto scorrevole senza cadere nell'errore,verificatosi in occasione del primo capitolo,di una certa mancanza di omegeneità complessiva che ingenerava una sensazione frustrante di discontinuità tra i vari brani.Il songwriting di Timo Tolkki appare rigenerato rispetto a quello claudicante e incerto da cui era caratterizzato l'oscuro "The Land Of The New Hope",ed è foriero di inserti originali e vincenti con un lavoro alle sei corde che,mai frenetico o troppo invasivo,regala spunti solistici più riflessivi e grandi momenti di poesia.Un gradito e promettente ritorno.


 

Cosa Funziona: la linearità dell'aspetto compositivo e le atmosfere più solari rispetto al primo capitolo della saga

Cosa Serve: portare a conclusione la storyline facendo affidamento sulla ritrovata vena creativa