Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: Axel Rudi Pell "Into The Storm"

Axel Rudi Pell "Into The Storm"

(SPV / Steamhammer)

Per Chi Ascolta: Axel Rudi Pell, Dio, Black Sabbath, Rainbow

Una bellissima copertina ci introduce al quindicesimo album (senza contare raccolte, etc) del guitar-hero tedesco Axel Rudi Pell che a 53 anni continua a macinare riffs inossidabili ed incorruttibili di sano heavy rock britannico forgiato nella storia da nomi quali Rainbow, Dio, Black Sabbath e Deep Purple, scuola senza tempo che Pell perpetua con ostinazione teutonica e dedizione totale. L'unica vera novità di "Into The Storm" rispetto al passato è rappresentato da Bobby Rondinelli (Rainbow, Black Sabbath, Doro, Blue Öyster Cult, etc) che prende il posto del grandissimo Mike Terrana dietro le pelli, facendosi trovare pronto al suo posto e dirigendo il ritmo con la consumata esperienza che di certo non gli difetta. La presenza dei fedeli Johnny Gioeli (vc - Hardline), Ferdy Doernberg (tast) e Volker Krawczak (bs) equivale ad un buon suggello di garanzia di qualità, ad un perfetto gioco di squadra, ad un meccanismo oliato a dovere che non sbaglia una battuta, cos' come i brani sono tutti di un livello qualitativo piuttosto alto ed omogeneo, con tocchi di melodia ed epicità a condire le classiche radici heavy metal di ARP. Ma proprio in questi elementi di forza risiedono anche i principali difetti del long playing, ovvero che sappiamo già come andrà a finire, tutto suona dannatamente simile a quanto è stato fatto nei dischi precedenti. Intendiamoci, questo aspetto è assai comune e frequente in tutte le forme artistiche e musicali e non penalizzerà in misura significativa il mio giudizio su "Into The Storm" che, come già scritto poco sopra, sfoggia nove brani (più intro) di buonissima fattura, arrangiati con attenzione e cura, in grado di soddisfare le orecchie ed i cuori dei 'defenders of the faith'. Passando all'analisi delle canzoni, dopo la canonica ed epica introduzione strumentali veniamo accolti dal serrato incedere di "Tower Of Lies", heavy rock virile e muscolare, seguita dalla più melodica "Long Way To Go", che aggiunge un pizzico dei Magnum (circa "On A Storyteller's Night") ad un brano non lontano dai Rainbow, e dalla svelta "Burning Chains". In "Changing Times" avverto qualcosa che proviene anche dai Thin Lizzy su un impianto profondamente hard rock tipico della discografia pelliana. L'introduzione di "Touching Heaven" ha un suono tipicamente fine '60s/primi '70s, ma i successivi sei minuti si dipanano lungo epiche e maestose strutture heavy metal e la candidano ad una delle migliori composizioni del disco ed al suo confronto la dinamica "High Above" appare meno buona di quanto non sia in realtà. A sorpresa spunta "Hey Hey My My", cover di un celebre brano di Neil Young qui risolta in chiave metal che, alla fine, non mi ha particolarmente interessato, esattamente all'opposto dei dieci minuti e mezzo della conclusiva "Into The Storm", cadenzato heavy metal tune intriso di umori sapientemente estratti dai songbooks di Black Sabbath e Rainbow. Resta da segnalare l'emozionante ed enfatica ballad "When Truth Hurts" cui probabilmente avrebbe giovato un leggero taglio rispetto ai suoi attuali quasi sette minuti. Chi è alla ricerca di sperimentazioni sonore o ultramoderne farà bene a stare alla larga da "Into The Storm", gli altri troveranno in questo scrigno sonorità certamente familiari, ma eseguite dannatamente bene.


 

Massima Allerta: Touching Heaven, When Truth Hurts e Long Way To Go

Pelo Nell'Uovo: poche variazioni stilistiche rispetto alle produzioni precedenti; Hey Hey My My di cui fare serenamente a meno