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California Breed "California Breed" (Frontiers)
Per Chi Ascolta: Hard rock con influenze blues e soul Accantonato in linea definitiva il supergruppo dei Black Country Communion, letteralmente imploso a causa dei frequenti dissidi interni legati alla direzione artistica da intraprendere,Glenn Hughes non si è certo rassegnato e,sulla scia di una coda polemica non ancora placatasi nei confronti di Joe Bonamassa,ha dato vita ad un nuovo stimolante progetto musicale che raccoglie l'ideale testimone del gruppo delle Midlands o quantomeno colma il senso di vuoto venutosi a creare con il suo scioglimento.L'approccio del bassista/cantante inglese risulta tuttavia molto più diretto ed essenziale,con la decisione ponderata di rinunciare al suono delle tastiere per favorire un ritorno alle sonorità che ne rappresentano le maggiori radici musicali.Quello dei California Breed si configura infatti come un immaginario viaggio a ritroso nel tempo,quando la scena rock internazionale era dominata dalla presenza di gruppi quali Cream e Who,grazie anche al recupero di un suono piuttosto ruvido e quasi in presa diretta.Mantenuto al proprio fianco il fidato batterista Jason Bonham e assoldato il giovanissimo e finora sconosciuto chitarrista Andrew Watt,Hughes ci consegna un disco intenso e ricco della giusta dose di energia.Fin dall'inizio infatti "California Breed"è un album da lasciare a bocca aperta,con la strada letteralmente spianata dal groove travolgente della zeppeliniana "The Way",un brano che si muove sulla base dell'improvvisazione funambolica dei musicisti e la sei corde del nuovo arrivato per nulla timida o intimorita ma anzi graffiante e sinuosa tra le pieghe del dettato ritmico.Il registro vocale di Hughes predilige,lungo tutto l'arco di durata dell'album,toni rocciosi e sferzanti col ricorso molto dosato al leggendario falsetto e agli inimitabili acuti.La scelta consapevole di ricorrere a una produzione un poco sporca ha il merito di accentuare l'impressione vintage,soprattutto nella cadenzata "Chemical Rain",nervosa nel suo incedere spezzato e nella riflessiva "Days They Came",non lontana da certe inflessioni grunge e psichedeliche,vero manifesto del nuovo corso intrapreso dall'ex Purple. Se la suadente "Spit You Out" ammicca con il suo ritornello mainstream e l'attitudine festaiola che sprigiona,la torrida "Invisible" trasuda invece emozione allo stato puro con l'andamento circolare del riff portante e l'avvolgente melodia corale,mentre è compito della rabbiosa "Breathe" con la sua alternanza continua di vocalizzi dolcissimi ad altri più aggressivi a porre il sigillo a un disco che cattura ascolto dopo ascolto."The voice of rock" è tornata,più decisa e convincente che mai!
Cosa Funziona: l'atmosfera settantiana,la profonda coesione dei musicisti e la coraggiosa scelta da parte di Glenn Hughes di rimettersi di nuovo in gioco. Cosa Serve: lasciarsi alle spalle sterili e spiacevoli controversie e focalizzare la propria energia creativa a beneficio di questo nuovo progetto dalle grandi prospettive future
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