Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


Intervista con i White Skull

Recensioni: White Skull

"Will of the Strong"


Intervista con i Thomas Hand Chaste

Recensioni: Where The Sun Comes Down

"Welcome"

Recensioni: Pandora

"Ten Years Like in a Magic Dream"

Recensioni: Black Star Riders

"Heavy Fire"

Recensioni: Kreator

"Gods Of Violence"

Recensioni: Danko Jones

“Wild Cat”


Intervista con i Saxon

Recensioni: Paolo Siani ft Nuova Idea

"Faces With No Traces"

Recensioni: Ted Poley

"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: Danzig “Black Laden Crown”

Danzig “Black Laden Crown”

(AFM Records)

Per Chi Ascolta: Il mitico Glenn

Tra una rimpatriata (o quasi) e l’altra con gli amati/odiati Misfits, Glenn torna sulle scene riesumando quella denominazione che gli ha procurato le maggiori soddisfazioni commerciali. Peccato però che i tempi siano cambiati, come pure, inevitabilmente, è mutata la line-up (dissolta da eoni quella, fantastica, originale). Non è venuta meno, tuttavia, una certa stanchezza compositiva di fondo che attanaglia il Nostro da metà anni ’90, nuovamente evidenziata in questo album. Accettabile, ad esempio, il brano omonimo, ennesima riproposizione dello stile canoro di Jim Morrison che aleggia sinistramente, idem dicasi per il puntuale rimando ai Black Sabbath omaggiati in “Eyes Ripping Fire”, segnata da possenti influenze stoner. Però “Devil On Hgy 9” sembra un’outtake di “How The Gods Kill” ed è contraddistinta da un’interpretazione vocale così così, fortunatamente dimenticata all’istante grazie all’ottima “Last Ride”, sulfurea elegia che potrebbe ricordare certi Samhain. Detto leit motiv lo ritroviamo altresì’ nell’onirica “The Witching Hour”, con il cantante di nuovo in versione sciamano capace di rievocare demoni innominabili, non in “But A Nightmare”, doom song apatica riaccesa unicamente dal finale dinamico. E non avvince neppure“Skull Daisies”, pur cercando in ogni modo la melodia vincente che tuttavia non riesce ad beccare, parimenti a “Blackness Falls”, laccata da parti di chitarra assai incisive, ma debole proprio dietro il microfono. La chiusura teatrale di “Pull The Sun” ridona luce ad un disco in cui prevalgono le ombre, complice una produzione non propriamente memorabile. Pur accompagnato dalla consueta, fascinosa iconografia infernale, di cui Glenn Danzig si conferma indiscussa icona, “Black Laden Crown” più che incutere terrore o timore reverenziale, si limita a ricalcare stilemi già fortemente sfruttati. Con la conseguenza, giocoforza, che l’effetto deja vu è dietro l’angolo.

Massima Allerta:Due/tre zampate da vecchio leone
Colpo Di Sonno:Si sbadiglia qui e là