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Mike Lepond's Silent Assassins "Mike Lepond's Silent Assassins" (UDR Music/Warner)
Per Chi Ascolta: Heavy e Power I dischi dei Symphony X ormai richiedono lavorazioni quinquennali e Russell Allen è impegnato con Adenaline Mob, Transiberian Orchestra e vari progetti solisti; di Romeo Pinnella e Rullo non ho notizie, ma almeno Lepond sta impazzando con progetti più o meno rilevanti. Mike Lepond's Silent Assassins è una sorta di dichiarazione d'indipendenza del bassista che qui si propone in veste heavy e power, con qualche tocco prog e melodico ma abbastanza distante dalla tradizione dei Symphony X. Come compagni d'avventura Lepond chiama Alan Tecchio (Non-Fiction, Hades, Seven Witches) alla voce, Mike Chlasciak (Testament, Halford) alla chitarra e il compagno d'armi Michael Romeo alla chitarra e drum programming, per il resto il Nostro scrive tutto da sé e si diverte a usare tutta la sua mirabile tecnica per prendere l'ascoltatore a pugni nello stomaco. 9 brani dal sapore a volte retrò che partono con l'aggressiva "Apocalypse Ryder" in cui la voce graffiante di Tecchio sgomita per prendersi un posto sotto ai riflettori. Sarà che io continuo a cercare i Symphony X ma la successiva "Red Death" qualcosa di "Egypt" ce l'ha, almeno all'inizio quando il basso si muove tra sinuose sonorità orientali, prima di lasciare posto alle schitarrate che portano il brano via dal deserto egizio mentre "The Quest" predilige atmosfere medievali prima di esplodere nell'ennesimo rabbioso virtuosismo di basso, per poi rivelare un animo progressivo che trova nell'arioso ritornello un momento che val la pena sottolineare. Per chi prediliga un po' di sana tamarraggine ecco "The Outsider" (ma davvero la batteria è solo programming?) e per chi invece, come me, ama l'epico e il sinfonico, c'è "Masada" col suo prezioso tessuto finemente ricamato. La title-track è una cavalcata Heavy (posso nominare Rob Halford?) e la successiva "Ragnarock" strizza piacevolmente l'occhio agli anni 80, mentre un temporale introduce la funerea e minacciosa "The Progeny" e la chiusura è affidata a "Death of Honor" con il suo lungo intro strumentale, triste e solenne, che poi sceglie la via della rabbia e lascia (purtroppo) spazio alla voce. Peccato, le trame strumentali e le variazioni di stile avevano di per sé un alto valore narrativo, anche senza voce. Un disco da ascoltare più volte, pieno di spunti e stili che accontentano un pubblico potenzialmente vasto; una sorpresa ma anche una conferma per un musicista che non ha più bisogno di presentazioni e che sa scegliere bene i suoi colleghi. Bravo Mike, adesso però vai a fare un nuovo disco dei Symphony X!
Colpo di sonno: no, non si dorme… Colpo di genio: La variopinta "The Quest", da ascoltare e riascoltare.
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