Speciale Muskelrock 2019


Rok and Roll On The Sea - Festa del Redentore


Ciao Alex!


L'Antro di Ulisse Vol. XXII


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"Beyond The Fade"

 

 

 

 

 

Recensione: Manowar "The Lord Of Steel"

Manowar "The Lord Of Steel"

(Magic Circle Music/Audioglobe)

Per Chi Ascolta: solo e sempre true heavy metal.

Dopo la “Hammer Edition” di giugno ecco ora la versione finale dell'undicesimo album dei Kings Of Metal. Come annunciato il mixaggio è differente, il suono è stato ripulito e l'artwork rinnovato, con una bellissima copertina come sempre ad opera di Ken Kelly. Quindi chi si lamentava del basso gracchiante ora può gustarsi il disco con piacere; in realtà a tratti il basso suona sempre un po' sporco, ed in alcuni passaggi si rimpiange anche il grezzume della vecchia versione, che dava quel tocco di cattiveria in più. Oltre al differente mixaggio si aggiunge qualche rifinitura di chitarra, cambia qualche tocco di batteria, abbellimenti che rendono il disco più professionale ma non è certo una registrazione che può fermare la forza dell'heavy metal. Si conferma, quindi, quanto scritto in precedenza. L'aggressivita della title track, l'incedere maestoso di “Born In The Grave” o la melodia contagiosa di “Touch The Sky” erano già percepibili, così come qualche arrangiamento ben fatto non salva canzoni poco ispirate come “Black List” o “Expendable”. Solo “El Gringo” viene in parte stravolta con un lungo assolo che porta la canzone oltre i sei minuti di durata, e a mio parere non era il caso. L'unica vera novità è la traccia di chiusura, “The Kingdom Of Steel”. Si tratta di un pezzo lento, una lunga strofa con passaggi delicati, fino al ritornello corale e solenne; non raggiungiamo i livelli di pathos di una “Heart Of Steel”ma la canzone si fa piacere. Manca il lampo di genio, però niente male per una band con una trentina d'anni di carriera alle spalle.


 

Massima Allerta: l'incedere maestoso di “Born In The Grave”

Colpo Di Sonno: “Black List”, troppo lenta e prolissa