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Recensione: Paul Sabu "Bangkok Rules"

Paul Sabu "Bangkok Rules"

(Z Records)

Per Chi Ascolta: Hard Rock, Dokken, Whitesnake, Badlands, Sabu

Un altro nome storico dell'hard rock/AOR torna a far sentire il proprio ruggito in questo anno di (a volte) inaspettati rientri sulle scene, ed ancora una volta sembra toccare alle vecchie glorie di tenere alto il livello qualitativo del genere. Infatti, "Bangkok Rules" è un disco esplosivo, energico e realizzato con la fierezza di chi sa di aver ricevuto ingiustamente meno di quanto avrebbe meritato e le dieci canzoni presentate sono qua a dimostrarlo senza ombra di dubbio alcuno. La titletrack dà fuoco alle polveri con un drumming incalzante che guida il serrato riff chitarristico reminiscente del miglior class-metal fine anni ottanta fra Dokken e Whitesnake, il tutto sovrastato dalla virile e potente ugola di Paul, anche se lo scorrere degli anni lascia il suo evidente segno. "Rock Don't Run" (con Frankie Banali alla batteria) è più melodica e la buona interazione fra tastiere e chitarre rende molto intrigante una canzone che in altri tempi si sarebbe classificata come 'radio-friendly' grazie anche ad un refrain anthemico e di facile memorizzazione. La più cadenzata "Race To Nowhere" ripercorre a suo modo le strade che furono degli Whitesnake di "1987" e dei Dokken di "Under Lock & Key", la cui teatrale drammaticità trasmette sensazioni che avvincono. "Live Or Die Tryin" è un altro mid-tempo vincente che tiene buona compagnia ed offre l'ennesimo chorus di facile presa, un ennesimo esempio di class-rock anni ottanta riportato ai nostri giorni senza ombra di inutile nostalgia, mentre il semplice rock di "Love's Got A Mind Of Her Own" svolge senza infamia il proprio ruolo di onesta riempi-disco e lascia spazio alla più dinamica e pesante "Rocked And Loaded" con la quale la qualità torna a farsi interessante pur restando in ambito hard rock melodico alla Alice Cooper di fine anni ottanta. La scaletta perfetta adesso richiede una (power) ballad ed ecco che Sabu ci intrattiene con la sofferta "Read My Eyes", ricca di pathos ed un fluido assolo che mi ha ricordato il miglior John Sykes (Thin Lizzy, Whitesnake, Blue Murder), mentre la torrida "Black Star" sa molto di un mix fra i Badlands di Jack E. Lee (molto) ed i Bad Company (qualcosa), e "Code Blue" mi ha lasciato perplesso con quel tentativo di coniugare i Led Zeppelin (di "Kashmir", ovvio) con frasi rap. "Back The Jacks" chiude il disco con un ritmo aggressivo e voci al limite del growl (ok, ce n'è parecchia di distanza, ma neanche così tanta), ma in fin dei conti ne avrei fatto tranquillamente a meno. Tirando le somme, sette brani su dieci sono da avere e non fanno rimpiangere l'acquisto, solo due sono superflue, una si può avere senza creare turbative particolari. Paul Sabu torna con grinta e carattere cercando di riacciuffare gli anni della vigorosa giovinezza e non fa la figura del patetico 'matusa'... fateci un bel pensierino!


 

Momento D'Estasi: Le prime due canzoni in particolare

Pelo Nell'Uovo: una produzione di buon livello quanto molto migliorabile, le due canzoni finali assolutamente fuori luogo