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Recensione: Threshold “March Of Progress”

 

Threshold “March Of Progress”

(Nuclear Blast/Warner)


Per Chi Ascolta: l’essenza stessa del Progressive Metal.

Dopo capolavori quali “Psychedelicatessen”, “Clone”, “Hypothetical”,”Critical Mass” e “Subsurfaces”, il pur bello ma troppo thrashy e modernista “Dead Reckoning” sembrava chiudere l’epopea del gruppo del Surrey .Quando poi il talentuoso singer Andrew “Mac” Mc Dermott abbandonò il gruppo alla fine del 2007, temetti davvero che l’oblio scendesse sui Threshold, a mio modestissimo parere, gli unici e ineguagliabili depositari del verbo progressive metal. Non di meno e con mio sommo godimento il rientro in formazione del primo vocalist Damien Wilson presente nel propedeutico primo album “Wounder Land” e nell’incommensurabile “Extinct Instinct” del 1997, tuttora al vertice della produzione artistica del gruppo inglese, aveva riacceso le speranze che l’istrionico duo Karl Groom on guitars e Richard West alle keyboards riuscisse a superare anche la tragica scomparsa del grande Mac avvenuta lo scorso anno.Insomma e per farla breve, “March Of Progress”, sancisce il ritorno dei Threshold al micidiale mixing fra Yes, Marillion, Pendragon, classic metal e thrash che aveva trovato la sua maxima espressione nel summenzionato “Extinct Instinct”, che comunque rimane insuperato dal punto di vista artistico e compositivo. Infatti, pur con il contributo della stupenda voce di Damian, più teatrale e melodica di quella del grande Mac, non sempre il gruppo è all’altezza di quanto creato in precedenza. Accanto a micidiali anthem quale l’iniziale e thrashy “Ashes”, la seguente “Return of the Thought Police”, che alterna breaks melodici a digressioni heavy classic e la bellissima e pirotecnica “Staring At the Sun” immolata sull’altare degli Yes, grandioso l’incipit di piano, troviamo “Liberty, Complacency, Dependency” che seppur formalmente perfetta è fin troppo prevedibile e priva di quel “quid creativo” in più che invece rende “Colophon”, il capolavoro assoluto del cd. Il piano ancora in splendida evidenza, disegna arabeschi di rara bellezza sul rabbioso incedere delle chitarre di Karl e del nuovo entrato Peter Morten, che letteralmente violentano la struggente melodia di base già comunque strapazzata anche troppo dalla superba sezione ritmica di Johannes James e Steve Anderson rispettivamente drums and bass, ancora sugli scudi pure nella seguente “The Hours”, ancora stupendo esempio di heavy progressive al calor bianco che richiama, nelle repentine aperture melodiche, pure i Barclay James Harvest. Proprio questi ultimi sono ancora chiamati in causa e riletti attraverso l’ottica dei Marillion, nella favolosa heavy ballad “That’s Why We Came”,dove Damian supera veramente se stesso.”Don’t Look Down” si ammanta ancora di digressioni e sonorità classic metal, pur se nel refrain non può non ricordare i Pendragon. L’ancor troppo scolastica “Coda” si salva solo grazie allo stupendo solo guitar di Karl,mentre la grandiosa “The Rubicon” ripesca addirittura le epiche sonorità e le liquide melodie del propedeutico “Wounded Land”. Bella e poderosa anche la bonus track dello stupendo digipack in mio possesso, “Divinity”,a mio parere anello di congiunzione con il precedente “Dead Reckoning” che conclude un comunque superbo lavoro impreziosito pure da una produzione a dir poco fantastica.Ovviamente BUY or DIE!!!!!

Momento D'Estasi: “Ashes”, “Return of the Thought Police”,“Staring at the Sun”, “Colophon”, “The Hours”,”That’s why we Come”, “The Rubicon”.

Pelo Nell'Uovo: se volete trovare le galline….andate nel“Teatro dei Sogni”.