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Recensione: Uriah Heep "Outsider"

Uriah Heep "Outsider"

(Frontiers Records)

Per Chi Ascolta: Hard rock di stampo classico e dalle sfumature prog

Nel lontano 1970 ,all'indomani della pubblicazione di "Very 'eavy...Very 'umble",un cronista dell' autorevole rivista Rolling Stones si era votato al suicidio nell'eventualità,per lui non improbabile ma addirittura impossibile,di successo da parte degli Uriah Heep,definiti noiosi se non inascoltabili. A distanza di più di un quarantennio da questa profezia non avveratasi ignoriamo la sorte del poco lungimirante recensore ma quel che è certo è che ci troviamo al cospetto di un gruppo che,con la presenza del chitarrista Mick Box sempre forte al comando,non ne vuole proprio sapere di mollare la presa.Nata nella scomoda zona d'ombra creata da Led Zeppelin,Black Sabbath e Deep Purple,e per questo motivo sovente tacciata di mancanza di originalità da parte di una critica piuttosto animosa,la formazione britannica,sia pure con l'avvicendamento di numerosi membri al suo interno,è riuscita a ritagliarsi sulla scena internazionale una posizione di tutto rispetto e a seguire l'evoluzione dell' hard rock nel corso dei successivi trent'anni,con buona pace di tutti i detrattori. La scelta del titolo del nuovo album,il quattordicesimo della carriera,risulta oltremodo significativa e simboleggia un'intrusione in punta di piedi,uno "scusate il disturbo" da parte degli Uriah Heep nei confronti degli addetti ai lavori,fin quasi a definirsi degli outsiders e a rivendicare umilmente la propria capacità di fare musica e di avere ancora tanto da dire alle nuove leve.Sull'onda emotiva della scomparsa del bassista storico Trevor Bommer,si registra l'ingresso stabile in line-up di Davey Rimmer al fianco del sopracitato Mick Box alla sei corde,Bernie Shaw alla voce,Russel Gilbrook alla batteria e Phil Lanzon alle tastiere.Accanto a pezzi vigorosi e sostenuti,dove il suono rassicurante dell'organo hammond si sposa alla perfezione con le armonie vocali e chitarristiche ,come nella sostenuta "Rock The Foundation",ricca di cori e dalla cadenza avvincente,o nella veloce "Speed Of Sound",dal forte appeal retrò,convivono pezzi dall'andamento sognante e intimista tra i quali brilla per ispirazione la ballata "Say Goodbye",tributo toccante e sincero ad un compagno che non c'è più.Se una menzione doverosa meritano la sorniona "One Minute",con le note affascinanti del piano a fungere da introduzione ad una traccia ricca di groove e impreziosita dalla prova maiuscola di Shaw dietro il microfono e l'anthemica "The Law",con sezione rimica posta in primo piano e acellerazione da urlo sul finale,sono la diretta titletrack e la splendida "Can't Take That Away" a rappresentare il vero manifesto sonoro di quello che sono oggi gli Uriah Heep:l'unione spontanea di tecnica strumentale e tanto amore per la melodia.Un gradito ritorno e ,se ce ne fosse ancora bisogno,una piacevole conferma.


 

Cosa Funziona: l'alchimia mai scomparsa di un gruppo che ha fatto la storia dell'hard rock

Cosa Serve: puntare sempre di più sul recupero di un suono classico,vero tratto distintivo della formazione londinese