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Maurizio Blatto "L'Ultimo Disco Dei Mohicani” (Castelvecchi)
Togliamoci subito il sassolino dalla scarpa: Maurizio Blatto è tra i pochi della redazione del più saccente mensile italiano (“Rumore”) che non butterei giù dalla torre. L’ironia che non scade nella volgarità, la leggerezza ed una conoscenza enciclopedica, eppur non pedante, dello scibile musicale rendono il suo stile riconoscibilissimo all’istante. Gli stessi elementi che caratterizzano questo suo brillante esordio da narratore. Che non poteva non essere dedicato al pentagramma nelle sue molteplici sfaccettature. O meglio: in ogni sua ogni patologia. Da un osservatorio privilegiato (Blatto è titolare di “Backdoor”, storico vinyl-shop torinese), l’Autore espone senza fronzoli, né formalismi politically correct, un campionario a 360° di umanità assortita formata da “chi erotizza con le copertine cartonate in rilievo” o dal folle interessato a “compilation su Bari vecchia”. O da chi ha una “moglie che controlla gli scaffali dei dischi ammonendolo che avrebbero potuto comprarsi un monolocale ad Alassio invece di quella porcheria lì”. Scorre nelle 228 pagine da leggere in un sol colpo una memorabile galleria di personaggi descritti con vena e ritmo cinematografici. E non mi meraviglierei che un produttore astuto si assicurasse i diritti di questo romanzo per farne l’equivalente tricolore di “Alta fedeltà”. Con meno puzza sotto il naso British style e più calore latino rispetto al best seller di Nick Hornby. Si va dal “Sentimentalista”, vivida macchietta nel solco del Diego Abatantuono periodo “Ecceziunale Veramente”, a “Beissline”, ossia l’inventore dei Massive Attack (“Che venivano a casa mia e gli devi spiegare tutto a quelli”). Da qualcuno con le idee chiare (“Cercavo delle marce. Nel senso di bersaglieri non di mele. Tanto per capirci”) ma non troppo (“Consigliami tu. Genere? Genere autoradio”) ad altri dotati del dono della sintesi (“Davvero sei laureato in giurisprudenza e vendi dischi? Complimenti, bella cazzata”). Con la piacevolissima sensazione per il lettore che finisce col familiarizzare, talvolta immedesimandosi, con la miriade di pazzi che si aggirano famelici nei sempre maggiormente rari negozi di dischi, noncuranti del download selvaggio e del caro-vita. Alla ricerca, spesso disattesa, di quel cd che ti potrebbe cambiare la vita. O, meno prosaicamente, potrebbe rendertela meno scialba. “L’ultimo disco dei Mohicani” è un romanzo di vita vissuta, di passione e manie ossessivo-compulsive, di grandi emozioni e piccoli ricordi, consigliabile sia ad i veterani pronti ad apostrofare chiunque (“C’è forse una legge da qualche parte che vieta di comprare i Saxon?”), che agli innocenti neofiti (“Ce l’ha quello dei Led Zeppelin con la supposta in copertina?”). Ed, infine, a tutti quei malcapitati che, prima o poi, inevitabilmente, si sono visti rivolgere da una moglie, una fidanzata, un genitore od (orrore!) un figlio, la domanda che, fortunatamente, non avrà mai risposta: “Ma non hai già abbastanza dischi da sentire? Non ti bastano quelli che hai? Dai che non abbiamo più spazio.”
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